Il controverso torneo inizia domenica. Un esperto spiega perché le polemiche sono arrivate troppo tardi
ZURIGO - A pochi giorni dalla partita inaugurale in Qatar, le critiche al torneo e al paese ospitante sono più forti che mai. Quasi nessuno si sta astenendo dal prendere posizione in merito all'ospitalità dello Stato desertico. In molti si chiedono il perché di un Mondiale che apparentemente nessuno vuole. A cosa porteranno ora queste polemiche?
Per rispondere a queste domande, 20 Minuten ha interpellato il Prof. Thomas Beschorner, direttore dell'Institute for Business Ethics dell'Università di San Gallo, considerato uno dei massimi esperti nel campo delle questioni etiche nel settore dello sport.
Stiamo assistendo al boicottaggio dei Mondiali in Qatar?
«Boicottaggio dei Mondiali? Adesso? La Coppa del Mondo è alle porte. Idealmente, come fruitore, puoi al massimo dare un segnale. Se l'interesse degli spettatori si rivelerà inferiore al previsto, sarà un monito per TV e sponsor da tenere eventualmente in considerazione per i grandi eventi sportivi futuri».
Se dovessimo parlare di responsabilità?
«La responsabilità di questo evento, disumano su più fronti, non ricade certamente su Yann Sommer o su un gruppo di tifosi provenienti da Grindelwald. I responsabili sono le associazioni internazionali e nazionali, nonché la politica».
Perché?
«Non hanno mai discusso seriamente sul boicottaggio dell'evento o sull'organizzazione di un torneo alternativo. Si sono sistematicamente nascosti dietro la retorica secondo cui i Mondiali avrebbero innescato processi di democratizzazione in Qatar, il che semplicemente non era pensabile».
Lei definisce «ipocrita» il passaggio di responsabilità ai consumatori.
«Sì, l'attuale critica alla Coppa del Mondo in Qatar è ipocrita perché arriva semplicemente troppo tardi. Ora stiamo discutendo del boicottaggio da parte degli spettatori. I cittadini responsabili dovrebbero astenersi dal "consumare" lo show. Non è giusto, significa scaricare le responsabilità sugli altri. In questo modo si sposta il focus dagli organizzatori al pubblico».
Qual è il problema centrale con il Qatar?
«La Coppa del Mondo in Qatar mette in mostra la strategia di un regime autoritario per stabilire la legittimità della politica interna ed estera. Chi spera in processi di democratizzazione rischia di rimanere deluso. I precedenti Mondiali in paesi autoritari come Cile 1962, Argentina 1978 o Russia 2018 lo hanno dimostrato. Sarà vero il contrario: il regime verrà addirittura consolidato con questo evento».
Cosa avrebbe potuto fare di diverso la Fifa quando il Mondiale è stato assegnato al Qatar?
«Avrebbe dovuto dare un'occhiata più da vicino a ciò che sta facendo il Qatar. Questo vale, ad esempio, per la situazione nei cantieri e per i lavoratori che lì hanno perso la vita. È stato un articolo del "Guardian", già due anni fa, a rivelare questa storia, non la Fifa».
Cosa si potrebbe fare a questo punto?
«La politica deve svegliarsi. La Fifa è ancora un'organizzazione senza scopo di lucro? Bisognerebbe verificarlo».
Adesso ci sono tante piccole manifestazioni di protesta, come la fascia da capitano arcobaleno o i loghi oscurati sulle maglie della Danimarca
«È importante che queste non siano misure messe in atto esclusivamente per "ripulirsi la coscienza". Dare l'esempio può essere importante, ma serve a poco quando lo si fa esclusivamente in modo simbolico».
Molte aziende, come "Brewdog" ad esempio, stanno prendendo posizione anche in termini di marketing.
«Non bisogna sottovalutare l'importanza del marketing quando si tratta di esprimere dei valori. La campagna anti-sponsorizzazione di Brewdog ha un bell'aspetto. Peccato che faranno vedere i giochi nei loro bar».
Come occidentali, a volte ci limitiamo a criticare le differenze culturali...
«Ciò solleva la questione di quali valori si vogliano difendere. Ovviamente c'è una differenza tra il divieto di consumare alcol e, ad esempio, la discriminazione contro gli omosessuali. Come società, dobbiamo determinare cosa non è negoziabile. Non difenderlo significherebbe rinunciare a noi stessi, per così dire».