Al via il processo al cittadino turco. L'imputato: «Per me l'islam è una religione di pace. Non sono per la radicalizzazione»
È entrato in aula con la testa china, accompagnato da due poliziotti. Si è seduto ed è rimasto immobile ascoltando i capi d’accusa. Poi il giudice gli ha chiesto conferma delle accuse e lui ha risposto sì. È stato l’unico momento in cui ha alzato la testa.
Sono queste le prime battute del processo che si è aperto questa mattina al Tribunale penale federale di Bellinzona dove verrà giudicato un cittadino svizzero-turco di 29 anni. Nei suoi confronti sono state formulate le accuse di assassinio, tentativi di incendio e di esplosione, lesioni personali semplici, violenze e minacce contro autorità e funzionari, violazione della legge che vieta in Svizzera i gruppi "Al-Qaida" e "Stato islamico", nonché le organizzazioni associate.
L’uomo, nel settembre del 2020 a Morges, nel canton Vaud, perpetrò un attentato a sfondo jihadista uccidendo una persona a coltellate urlando "Allahu Akbar". Entrò in un bar e armato di coltello si scagliò contro un uomo di 29 anni. Lo accoltellò alla schiena e con l’arma ancora in mano urlò "Allahu akbar" (Dio è il più grande) prima di fuggire. La vittima era un cittadino portoghese, che se ne stava seduto tranquillamente al bar insieme a un gruppo di amici.
«Quel giorno l’imputato aveva chiaramente l'intenzione di uccidere qualcuno e non solo di ferirlo» ha detto il giudice in aula. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) è convinto che il crimine di Morges sia stato un attentato di stampo jihadista allo scopo di vendicare le vittime della guerra della coalizione contro l'ISIS.
Niente pubblico in aula - In apertura del processo il TPF ha di nuovo respinto la richiesta della difesa di tenere i dibattimenti a porte chiuse, già bocciata qualche mese fa. La legale giustificava la domanda con il fatto che il suo cliente ha trascorso finora 820 giorni in isolamento. Avrebbe quindi difficoltà a tollerare la presenza del pubblico. Inoltre le fughe di notizie alla stampa avrebbero causato un "danno considerevole" all'imputato.
Psicologicamente provato - L’accusa ha riferito che un amico della vittima, a distanza di anni, si trova ancora sotto shock per quanto ha assisto quel giorno nel bar. Doveva essere presente in aula ma non ce l’ha fatta. «Psicologicamente è molto provato e non è in grado di sedersi nella stessa stanza con l’aggressore» ha precisato l’accusa. L’imputato ha risposto alle prime domande del giudice in modo breve e conciso. Ha confermato che in carcere ha avuto contatti regolari con medici e familiari.
Appartenenza allo Stato Islamico - Il dibattito è iniziato subito sulla sua appartenenza allo Stato Islamico. «Sono sunnita, ma non appartengo a nessun sottogruppo di sunniti», ha precisato l'imputato. Alla domanda come descriverebbe la sua fede, ha risposto: «Per me l'islam è una religione di pace». Esclude si aver mai accettato di radicalizzarsi: «Ho scoperto sempre di più la fede, ma non parlerei di radicalizzazione».
Radicalizzazione dal 2017 - In aula il Presidente del tribunale ha elencato diversi nomi di persone che avrebbero potuto influenzare le idee dell'imputato. Secondo l'accusa, la radicalizzazione islamista si sarebbe manifestata a partire dal 2017. L'uomo riconosce alcuni nomi, ma altri non avrebbero avuto nessuna influenza su di lui. Ha ammesso però di aver guardato insieme a loro video di decapitazioni.
Cosa rappresenta lo Stato Islamico? - Alla domanda del giudice che cos'è per lei esattamente lo Stato islamico, l'imputato ha risposto: «Per me significa il califfato». L'uomo ha iniziato a interessarsi allo Stato islamico a partire dal 2016 informandosi su Internet. Tra le altre cose guardava video di guerra dalla Siria ed era attivo nei forum online. Ha espresso però critiche su certi comportamenti come ad esempio gli attacchi che vengono compiuti in Europa. E poi spiega: «Io sono per la Sharia nel Califfato. Secondo me, però, lo Stato Islamico ha proclamato il califfato sbagliato. Hanno emanato regole che altrimenti non si trovano nell'Islam. Per questo non ho mai giurato fedeltà allo SI. Stavo solo leggendo e cercare di capire».
L'esperto di terrorismo: «È un uomo pericoloso» - Il commento a coté del processo lo fornisce ai colleghi di 20 Minuten l'esperto di terrorismo dello ZHAW, Dirk Baier: «Il caso che abbiamo davanti rappresenta un nuovo volto del terrorismo islamico che dobbiamo saper affrontare, quello dei lupi solitari che attaccano da soli in maniera apparentemente disorganizzata. Una persona come questa rappresenterà sempre un rischio, è un uomo pericoloso e impulsivo lo dimostrano i suoi precedenti». L'imputato, infatti aveva già compiuto diversi reati prima dell'attacco di Morges. Fra questi tentato incendio doloso per far esplodere una stazione di servizio di Prilly (VD). In carcere ha anche aggredito una guardia usando una penna e colpito con un pugno un agente della Fedpol durante un'interrogatorio.
"Ero pieno di adrenalina" - Dopo la pausa pranzo il processo è ripreso alle 14:00. Il cittadino turco ha raccontato che pensava di agire nell'interesse dello Stato Islamico e che voleva combattere i nemici del califfato. «Volevo vendicare il Profeta - per tutti gli attacchi all'Islam» ha spiegato. L'atto era religiosamente e politicamente motivato. Prima di allora, aveva preparato un testamento. «Ma speravo di non dover morire». Ha ammesso di aver scelto la vittima a caso. La persona doveva essere solo un adulto e maschio. Ha scelto un coltello come arma del delitto perché era più facile da ottenere rispetto a una pistola. «Oggi non vedo più le cose in questo modo. Mi sbagliavo completamente. Non credo che le mie azioni abbiano portato qualcosa al Profeta», ha dichiarato in aula l'imputato, che si è assunto la responsabilità del crimine: «Ho combattuto per Dio quel giorno. Ero pieno di adrenalina, né felice né triste. Oggi sono triste per quello che è successo. Triste e deluso, triste per la famiglia e gli amici della vittima».
Al doppio cittadino svizzero-turco sono anche attribuiti diversi reati penali commessi prima, tra cui sostegno all'ISIS attraverso la diffusione di materiale propagandistico. Ha anche tentato di unirsi sul posto al sedicente Stato islamico nella zona di conflitto siro-irachena. Secondo l'atto di accusa, l'imputato era inoltre in possesso di più rappresentazioni di atti di cruda violenza in relazione con l'ISIS. Un'altra imputazione a suo carico concerne il tentato incendio con l'intenzione di far esplodere una stazione di servizio a Prilly, sopra Losanna, nell'aprile 2019; sempre con l'idea di rivendicare l'attentato a nome dello Stato islamico, cosa che non gli è riuscita