C'è delusione, da una parte della comunità ebraica, per la poca solidarietà ricevuta. «La Confederazione non è mai stata dalla nostra parte»
BERNA - L’atmosfera davanti alla sinagoga di Zurigo è tesa. A passi veloci e con gli occhi a terra, gli uomini si muovono da un lato all'altro della strada. Nessuno ride: la maggior parte di loro si limita a scambiare qualche parola e poi riparte. L’edificio religioso è sempre più sorvegliato dal personale di sicurezza. Una giovane madre piange mentre parla della sua famiglia che vive in Israele: «È terribile. Mi sento impotente, voglio solo che sia al sicuro».
Secondo gli ultimi dati forniti dalle autorità israeliane, oltre mille persone sono state uccise a seguito dell’azione terroristica di Hamas. Al lutto si unisce un senso di sorpresa per l'atteggiamento della Confederazione: «La Svizzera non è mai stata favorevole a Israele», aggiunge la donna in lacrime.
A pochi metri dalla sinagoga, il giornalista di 20 Minuten incontra Rubi: l'ebreo 34enne lavora in un affollato mercato di alimenti kosher. Indossa una felpa verde scuro con cappuccio e la kippah.«Tutti noi, qui nel quartiere - racconta - siamo sotto shock. Abbiamo paura per i nostri parenti in Israele».
Oltre alla paura e al dolore, la comunità ebraica sta accumulando anche un sentimento di delusione. Alla stazione ferroviaria è stato scritto con un gesso bianco "Palestina libera". Menachem non riesce a trovare giustificazione per le parole lette: «Siamo stati attaccati e la Svizzera dovrebbe condannare l’atto. Hamas ha mostrato il vero volto al mondo intero».
Anche Jacques Lande, presidente della Comunità ebraica di Zurigo, avrebbe sperato in una maggiore comprensione da parte degli svizzeri: «Sentiamo la solidarietà della popolazione, ma mi sarei aspettato una reazione diversa da parte del Governo».
L'imprenditore Ayal Haneman (59 anni) gestisce un ristorante israeliano a Zurigo. Le sue prime parole durante l'intervista con il Blick sono però sorprendenti: «Non c'è dubbio. Prima o poi ci sarà la pace tra palestinesi e israeliani». Per Haneman, infatti, il problema non sono i palestinesi in sé, ma il gruppo radicale Hamas,
Anche Tomer ne è convinto. Il 39enne israeliano lavora in una start-up e vive in Svizzera da un anno. «Se i palestinesi riusciranno a staccarsi da Hamas, potranno sperare in un buon futuro di pace. Anche il mio cuore è con i palestinesi. La fine della violenza è possibile».
Sami Daher (64) è un ristoratore del canton Soletta. È l'unico palestinese che decide di parlare col Blick: pur ammettendo che quanto commesso da Hamas sia etichettabile come crimine di guerra, non ha condannato il gesto e ha precisato che «la resistenza è un diritto - aggiunge - Gli abitanti della Striscia di Gaza vivono in una prigione e il mondo ha dimenticato le loro sofferenze»