Disinformate, umiliate, spesso lasciate sole. In Svizzera una donna su quattro subisce violenza in sala parto.
BERNA - A fine ottobre due medici e un'ostetrica sono stati chiamati a rispondere davanti al Tribunale penale di Basilea per omicidio colposo. Nel 2014 erano presenti nella sala parto dell'ospedale universitario di Basilea, mentre una madre moriva mettendo al mondo suo figlio, nato poi con danni cerebrali permanenti. Un caso estremo e raro in Svizzera che però accende i riflettori su un'altra questione, quella della violenza in sala parto.
Secondo uno studio dell'Università di Scienze Applicate di Berna, delle oltre 7'000 donne svizzere che hanno partecipato all'inchiesta, il 27% ha dichiarato di aver subito violenza durante il parto in modo «informale». Ossia non sono state informate bene, oppure intimidite o ancora non erano in accordo con una decisione terapeutica.
Il 10% ha poi dichiarato che gli specialisti avevano rivolto loro commenti offensivi o dispregiativi. Due donne su cinque (39%) hanno riferito che la loro libertà di movimento era limitata durante il parto. E, infine, una donna su sei (17%) ha sperimentato il CTG (monitoraggio della frequenza cardiaca del bambino e delle contrazioni della madre) come invasivo.
La violenza in sala parto può infatti assumere dei connotati piuttosto subdoli. «Non esiste una definizione ufficiale che determini la soglia oltre la quale un’esperienza viene percepita come violenta. Ma se una donna percepisce un atto come un'aggressione, la sua esperienza deve essere rispettata. Spesso si tratta anche di violenza psicologica. Ad esempio, le donne possono sentirsi minacciate, intimidite o costrette», ha spiegato in un'intervista Monika Di Benedetto, dell'associazione Gewaltfreie Geburtshilfe (Aiuto per una nascita senza violenze, ndr.) a Watson.
«Le donne si sentono fallite»
I vissuti di chi asserisce di aver subito violenza in sala parto sono più o meno gli stessi. «Ad esempio, alcune donne rimangono in travaglio per tre giorni - prosegue Di Benedetto -. Ciò rappresenta un problema per il personale ospedaliero, poiché dopo un certo orario vogliono lasciare la sala parto. Quindi le danno un farmaco che rafforza le contrazioni per accelerare il processo». Le donne però volte non vengono informate delle procedure o dei farmaci che saranno somministrati.
«Ci imbattiamo regolarmente in casi in cui la dose del farmaco che rinforza le contrazioni è stata semplicemente aumentata senza che la persona ne fosse informata. Ciò può causare uno stress ulteriore al bambino e potrebbe quindi essere necessario un taglio cesareo». A volte si hanno poi ricadute psicologiche post partum: «Sono molte che soffrono a posteriori di un senso di fallimento».
Racconta poi dell'esperienza vissuta in prima persona. «Quando sono arrivata in ospedale avevo già le contrazioni. È stato quindi indotto il travaglio, ma il farmaco che rafforzava le contrazioni è stato somministrato a un dosaggio troppo alto, il che ha intensificato il mio dolore: sono stata in travaglio per 30 ore. Ma mi è sempre stato detto che non c'era tempo per me. Nel complesso, sono stata trattata male. Alla fine, mi hanno sottoposto a taglio cesareo». Secondo lei però queste situazioni a volte «non sono intenzionali». Si tratta piuttosto di «desensibilizzazione», «significa che non viene prestata attenzione alle donne individualmente».
Eppure basterebbe poco
«Ogni donna è unica», puntualizza Di Benedetto e per rendere questa esperienza meno drammatica basterebbe per esempio «assicurarsi che la zona sia sufficientemente coperta in modo che, quando qualcuno entra nella stanza, le sue parti intime non siano esposte a tutti. E poi un maggior coinvolgimento nel processo di nascita». Spesso infatti non sono nemmeno questione di vita o di morte. «Nella maggior parte dei casi è possibile spiegare alla partoriente o a chi l'accompagna l'importanza dell'intervento. Ciò significa che è dunque possibile ottenere il consenso dell'interessata». E se proprio si tratta di una questione di emergenza «bisognerà spiegare poi quel che è esattamente successo in sala parto».