A chiederlo, per poter partecipare ad appalti pubblici, era stato l'ex consigliere nazionale ticinese, Marco Romano (Centro)
BERNA - «Un certificato antimafia per le aziende italiane che partecipano ad appalti pubblici in Svizzera non è né opportuno né necessario». È la conclusione cui è giunto il Consiglio federale in un rapporto pubblicato oggi, 6 dicembre, in risposta ad un postulato dell'ex consigliere nazionale ticinese, Marco Romano (Centro).
La richiesta - Il postulato era stato trasmesso al Governo dal Consiglio nazionale nel settembre del 2022 con l'intento di impedire infiltrazioni mafiose nel tessuto economico della Confederazione. Romano chiedeva di vagliare l'idea di un certificato antimafia sull'esempio di quanto si fa per le aziende con casa madre in Italia che partecipano ai concorsi pubblici della Confederazione e delle aziende da essa detenute. Il deputato di Mendrisio pensava, in particolare, agli appalti con un volume finanziario rilevante allo scopo di evitare inutili lungaggini burocratiche.
La risposta - Ma per il Governo un onere della prova specifico per offerenti e subappaltatori aventi sede o la società madre in Italia sarebbe «discriminatorio nei confronti delle imprese interessate e rappresenterebbe un ostacolo sproporzionato alla loro partecipazione», si spiega.
Il rischio - Oltre a ciò, fa presente il Consiglio federale, «una legislazione specifica che contempli un simile certificato può essere facilmente aggirata, ad esempio trasferendo la sede di un'azienda in un altro Paese». Non è nemmeno opportuno, secondo il rapporto, «nutrire il sospetto generalizzato che tutte le imprese italiane potrebbero avere un legame con la mafia».
Gli strumenti - Ad ogni modo, sottolinea l'esecutivo, in singoli casi «le condizioni quadro stabilite nella legislazione degli appalti pubblici prevedono la possibilità per i servizi d'acquisto elvetici di contattare le autorità italiane per ottenere il certificato antimafia, in particolare se sussistono dubbi sulle informazioni fornite nell'autodichiarazione da un offerente», si precisa.
Nella pratica - Tuttavia, anche in questo caso a presentare alcune difficoltà è l'applicazione pratica: le imprese interessate non possono ottenere di propria iniziativa il certificato antimafia - in Italia sono infatti i committenti pubblici stessi a doversi procurare il certificato antimafia presso l'autorità competente - e i servizi d'acquisto in Svizzera non hanno accesso alla banca dati antimafia italiana. Tali servizi avrebbero la possibilità di contattare le autorità italiane per il tramite dell'ambasciata svizzera a Roma, ma ciò causerebbe ritardi nelle procedure di appalto.
In futuro - Nel documento, il Consiglio fa presente che la futura legge sulla trasparenza delle persone giuridiche concederà ai committenti pubblici il diritto di consultare online il previsto registro, non accessibile al pubblico, per la trasparenza. In questo modo, i committenti potranno identificare in maniera più rapida e affidabile i cosiddetti aventi economicamente diritto di un offerente (o subappaltatore) con sede in Svizzera.