Per l'ex consigliere federale «la polarizzazione, l'incitamento all'odio nel dibattito politico, le minacce fanno parte del problema»
GINEVRA - La democrazia sta facendo passi indietro in varie nazioni e va quindi rafforzata: ne è convinto l'ex consigliere federale Alain Berset, dallo scorso settembre segretario generale del Consiglio d'Europa, organizzazione nata nel 1949 - la Svizzera ne fa parte dal 1963 - che promuove il governo del popolo, i diritti umani e lo stato di diritto.
«La democrazia è in regresso in diversi paesi, non sempre nella stessa misura o dallo stesso punto di partenza o di arrivo», afferma il 52enne in un'intervista pubblicata oggi da Le Matin Dimanche. «Ma il movimento non sta andando nella giusta direzione. La polarizzazione, l'incitamento all'odio nel dibattito politico, le minacce e il resto fanno parte del problema».
«Il Consiglio d'Europa deve riflettere su questo aspetto», si dice convinto l'ex consigliere federale (2011-2023). «Ho proposto il lancio di un piano d'azione per ripensare la democrazia. L'idea non è quella di dare lezioni: ma di guardare ai diversi contesti, sempre con rispetto, e di rafforzare le condizioni che permettono alla democrazia di funzionare ovunque».
«Una serie di crisi ha portato a una maggiore instabilità», argomenta il laureato in scienze politiche e poi dottore in economia. «Dapprima la crisi finanziaria del 2008, con profonde conseguenze per le nostre società in termini di distribuzione della ricchezza. Poi è arrivata l'ascesa del populismo, il nuovo potere dei social network, l'arrivo dell'intelligenza artificiale e, come se non bastasse, una pandemia. E soprattutto, su scala più locale dal 2014 e su larga scala dal 2022, la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina. Da circa quindici anni sono all'opera forze talvolta divergenti che mettono in discussione la democrazia. Mai direttamente, ma attraverso la manipolazione, l'attacco o l'intimidazione, ad esempio dei giornalisti».
«Non si può avere una democrazia vivace senza un'ampia diversità di opinioni, senza poter scambiare opinioni con qualcuno con cui non si è d'accordo», osserva il politico socialista. «Ma oggi questo è diventato più difficile. Sono convinto che il Consiglio d'Europa sia più essenziale che mai. Non è quando le cose vanno bene che abbiamo bisogno di istituzioni che funzionino, ma al contrario quando i tempi sono difficili».
Qualche sorpresa - chiede il giornalista del domenicale - nel nuovo incarico? «Ci sono diverse cose, ma se dovessi citarne una sola, sarebbe la velocità e la profondità con cui stiamo affrontando una moltitudine di questioni che riguardano l'intero continente», risponde l'ex presidente della Confederazione (nel 2018 e nel 2023). «Da lontano può sembrare tutto molto teorico. Ma la mattina si può trovare sulla scrivania un rapporto sulla situazione in Georgia dopo le elezioni. Un altro giorno è la volta dell'Ucraina, con il riconoscimento dei danni causati dalla guerra e la questione dei risarcimenti».
«Si tratta di questioni concrete, molto lontane dalla mia realtà elvetica, ma che possono anche avere un impatto diretto sulla Confederazione. Si pensi, ad esempio, alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di aprile sulla richiesta delle anziane per la protezione del clima, che ha suscitato grande attenzione. Il Consiglio d'Europa non è affatto superficiale».
«Ciò che mi ha colpito al mio arrivo qui è che la Svizzera si trova in una posizione piuttosto unica», prosegue il padre di tre figli. «Non fa parte dell'Unione Europea, ma è al centro dell'Europa. Abbiamo quattro lingue, che tutti pensano che padroneggiamo indistintamente. La nostra tradizione di democrazia diretta impressiona le persone. Dicono: "È fantastico da dove vieni, ma non funzionerebbe necessariamente altrove". L'accoglienza che ho ricevuto è stata eccellente. E traggo vantaggio dall'esperienza del Consiglio federale, dal consenso, dalla collegialità, dalle consultazioni e dal tempo che si deve accettare per trovare soluzioni stabili».
«Ci sono anche elementi meno facili. Per esempio, alcuni mi hanno più o meno detto: "Voi svizzeri siete dei privilegiati. Non sapete cosa sia una vera crisi, cosa significhi avere fame o freddo, o vivere una guerra. Come potete essere in grado di dirci come affrontare questi problemi?" Ci sono le cose positive che ho menzionato, ma ho sentito anche questo una o due volte», conclude l'uomo politico friburghese.