Una delle proteste più violente degli ultimi decenni è scoppiata sull'isola lo scorso fine settimana.
Internet e cellulari sono stati bloccati. «Il Governo non vuole che si sappia cosa sta accadendo»
ZURIGO - «Mi sento incredibilmente impotente». Queste le parole dello svizzero-cubano Jorge Ayes-Perez (46). Da domenica scorsa, nella sua terra natale, in migliaia sono scesi per manifestare contro il governo cubano. Si tratta di una delle proteste più violente degli ultimi decenni.
Quasi tutti i parenti di Ayes-Perez vivono sull'isola, compresa sua figlia di 16 anni. La situazione è precaria: «Le persone sono al limite. Tutti i negozi sono chiusi, i militari pattugliano le strade. Il cibo è raro e costoso, e lo stesso vale per le medicine».
«I cubani sono soli» - «Ho le mani legate, non so cosa fare», prosegue l'uomo. Perez ha vissuto per 13 anni con sua moglie e i suoi due figli nella Svizzera orientale. A Cuba i servizi internet e di comunicazione mobile sono interrotti e le informazioni scarseggiano. «Il governo non vuole che il mondo sappia quante persone scendono in strada e con che brutalità vengono picchiate. L'intera popolazione è attualmente in strada. L'unica arma è la propria voce, tutto il resto è controllato e di proprietà del governo. I cubani sono soli», aggiunge.
L'altra sera ha avuto contatti con la figlia tramite un cellulare straniero. «Mi ha chiesto disperatamente aiuto. Non sapevo cosa risponderle. Le ho consigliato di restare a casa e aspettare».
L'ultima volta che ha visto la figlia erano due anni fa. Nel 2020 la ragazza voleva tornare a far visita al padre in Svizzera, ma poi è arrivata la pandemia. «Non sono preoccupato solo per lei, ma anche per la mia famiglia, gli amici e il futuro della popolazione». Quello dell'uomo è un grido d'aiuto: «Sono stufo del fatto che la mia gente stia soffrendo e che non succeda nulla. È tempo che qualcosa cambi a Cuba».