Non può essere che forte la risposta dei settori interessati dalla novità ventilata oggi dal Consiglio Federale.
Gastrosuisse: «Così si spezza in due la società», Hotellerie Suisse: «Solo se così si evita un nuovo lockdown».
BERNA - Non ha mancato di suscitare reazioni forti, in tutti gli ambienti interessati, la possibilità - ventilata oggi in conferenza stampa da Alain Berset - di introdurre l'obbligo del Certificato Covid per frequentare locali e attività al chiuso.
Una presa di posizione forte (e probabile) quella del Consiglio Federale che evidentemente cerca di aumentare le adesioni alla campagna vaccinale che a oggi ha immunizzato solo il 56% della popolazione, ora che iniziano ad aumentare contagi e ricoveri.
Se il modello che già vale in tanti Paesi (compresa la vicina Italia) verrà approvato o meno, lo sapremo solo settimana prossima (la data fissata è il 30 agosto) dopo la consultazione con i Cantoni.
Intanto però sono diverse le associazioni di categoria che hanno voluto prendere la parola, manifestando il proprio disappunto per una novità che potrebbe avere ripercussioni importanti sul fatturato, dopo più di un anno di magra estrema.
Non lesina le parole forti Gastrosuisse e il suo presidente Casimir Platzer, bellicoso tanto quanto il suo omologo ticinese Suter, che ha parlato «di una modifica che spacca in due la nostra società». La preoccupazione è che la necessità del Certificato finisca per svuotare quei tavoli all'interno già a lungo disertati: «Le perdite negli incassi sarebbero enormi», conferma Platzer che ribadisce: «invitiamo al Consiglio Federale a valutare delle alternative».
Più concilianti i toni di Hotellerie Suisse che parla di una «decisione comprensibile per evitare il sovraccarico degli ospedali», soprattutto se permetterà di rinunciare a un nuovo lockdown o al blocco delle frontiere che sarebbe «da evitare a tutti i costi». D'altra parte, però, la misura dovrebbe essere introdotta «per un tempo limitato e solo in caso di assoluta necessità».
Preoccupazione anche nel settore culturale, come confermato dalla co-presidentessa di Professionisti dello Spettacolo Svizzera Sandra Künzi, sentita dai colleghi di 20 Minuten. Per lei è un grosso problema anche la faccenda dei test a pagamento: «Non solo chi non si è vaccinato non verrà più a teatro, ma sarà un problema anche testare tutti gli artisti, le troupes e i tecnici... Per un settore come il nostro, già malconcio, rischia di essere un colpo molto duro».
Tremano anche le palestre, dopo la lunga chiusura e la riapertura a singhiozzo: «L'impatto sul giro d'affari ci sarà, eccome», conferma Claude Ammann della Federazione svizzera dei centri fitness e di salute, «l'idea del Consiglio Federale non mi convince, anche considerando tutte le misure relative al ricambio d'aria che stiamo facendo nelle palestre di tutta la Svizzera».
Fra i più arrabbiati c'è il presidente dell'Associazione svizzera di yoga, Roland Haag che non mantiene affatto la proberviale calma tipica degli yogi: «Questa cosa mi fa ingoiar bile», ha confermato a 20 Minuten, «si tratta di un'azione davvero vergognosa, è un'imposizione del vaccino sotto mentite spoglie... Lo yoga fa bene alla gente, ma con un obbligo di questo tipo mi aspetto diversi tappetini vuoti in palestra».