Nel 2002 il piccolo Luca Mongelli fu trovato massacrato di botte sulle nevi del Vallese. Diedero la colpa a un cane. Papà Nicola torna alla carica: "Voglio la verità, gli svizzeri ci aiutino"
ZURIGO – Tre mesi e mezzo di coma. Poi una lunga risalita verso la normalità. Oggi Luca Mongelli è un ragazzo di 17 anni. È cieco, vive su una sedia a rotelle, ma nonostante questo frequenta con ottimi risultati il liceo classico di Giovinazzo, in provincia di Bari. La sera del 7 febbraio 2002 lo trovarono gonfio di botte, praticamente nudo, tra le gelide nevi di Veysonnaz, piccola località turistica del Vallese dove il padre Nicola aveva un ristorante. Gli inquirenti diedero la colpa a un cane, il caso venne chiuso in maniera sbrigativa. Ma ora papà Nicola vuole la verità: “Tra un mese saranno passati dieci anni, scatta la prescrizione. Oltre un anno fa ho chiesto di riaprire il caso, ma qualcuno sta temporeggiando volontariamente. C’è chi non vuole più parlare di questa storia, è una vergogna”.
Il fratellino - Era il classico bambino straniero emarginato, Luca. In Vallese ci abitava da qualche tempo. Da quando cioè papà Nicola, oggi responsabile di una prestigiosa catena di ristoranti in Svizzera, aveva aperto un locale proprio a Veysonnaz. Con loro mamma Tina e il fratellino Marco, di 3 anni più giovane. Proprio Marco agli inquirenti aveva raccontato di avere visto Luca mentre veniva aggredito e picchiato da altri tre ragazzi. “Evidentemente la testimonianza di un bambino così piccolo non poteva essere presa in considerazione”, ironizza Nicola Mongelli. Poi altri dettagli inquietanti. I vestiti di Luca vennero trovati piegati nella neve. Nessun segno di strappo. E sul suo corpo nessun morso. Solo grossi lividi. A pagare per tutti però fu Rocky, il cane di famiglia, soppresso qualche giorno dopo. “Perché secondo gli inquirenti un cane sarebbe capace di svestire un bambino accuratamente per poi massacrarlo senza morderlo. Non ho parole…”
Costretto a mangiare le formiche - Infine c’è il racconto dello stesso Luca, che ricorda le persecuzioni, le prese in giro da parte dei suoi compagni di scuola. “Gli facevano mangiare le formiche. Lo pedinavano. Gliene facevano di tutti i colori”. Ma a Luca nessuno crede. “Perché non è più in grado di ragionare, sostengono. Strano però che uno con il cervello tanto devastato riesca a ottenere voti così alti in quarta liceo. Questo non lo considerano, ovvio”.
Razzismo - Forse c’è una brutta storia di razzismo dietro il caso di Luca Mongelli. “Possibile che i soccorritori, quelli cioè che hanno trovato il corpo di Luca, non siano mai stati interrogati? Sono stati fatti degli errori enormi in questa indagine. Solo che gli inquirenti non vogliono ammetterlo. Forse perché alcuni erano volontari, non lo so. Non so più cosa pensare. So solo che non c’è la voglia di trovare la verità”. Il silenzio, l’omertà. A Veysonnaz, 600 abitanti, probabilmente qualcuno sa e tace. “È assurdo, ma da un certo punto di vista si può comprendere il modo con cui è stata insabbiata questa vicenda. Veysonnaz è una stazione sciistica. Eravamo in piena alta stagione. La notizia di un'aggressione a uno straniero da parte dei ragazzi del posto avrebbe creato uno scandalo. Meglio evitare. Meglio inventarsi una versione dei fatti pazzesca. In fondo quel bambino era solo un italiano”.
Il calore dei vallesani - Oggi Nicola fa la spola tra Zurigo e Giovinazzo, dove nel frattempo la sua famiglia è rientrata. “Abbiamo vissuto anni da incubo. Luca ha dovuto fare decine di operazioni. E la strada è ancora lunga”. Nel frattempo il popolo vallesano si è schierato simbolicamente a fianco della famiglia Mongelli, firmando una petizione per riaprire il caso. Non solo: anche la stampa locale in tutti questi anni ha sempre dubitato che ci fosse qualcosa di non chiaro in tutta questa storia. “Sono dettagli che ci danno la forza di andare avanti. Noi non molleremo. Vogliamo che chi ha ridotto nostro figlio in questo stato paghi per ciò che ha fatto”.
Patrick Mancini
Il sito di Luca