Il presidente dell'UDC Marco Chiesa difende una strategia di «allentamenti in sicurezza».
L'anticipazione: «I nostri consiglieri federali Maurer e Parmelin inoltreranno delle proposte. L'obiettivo oggi è far pressione sui rappresentanti liberali Keller Sutter e Cassis».
LUGANO - In una Svizzera spaccata tra “apertura” e “confinamento", l’UDC è il partito che più fa pressing per gli allentamenti. Lo fa sostenendo la petizione “Stop lockdown”, ma anche attraverso un video. Una posizione che il consigliere agli Stati e presidente nazionale UDC Marco Chiesa spiega in questa intervista.
Non temete un effetto boomerang nel caso ci fosse una terza ondata?
«Non sosterrei delle aperture sregolate e avventurose. Già a fine marzo abbiamo messo nero su bianco le nostre proposte e le nostre richieste per salvaguardare la salute della popolazione Svizzera che restano valide e devono essere diligentemente applicate. Oggi tuttavia abbiamo il diritto e il dovere di ritornare a vivere e a lavorare sempre nel rispetto delle misure di protezione e di distanziamento sociale. Si sottovaluta l’impatto di questi lockdown sulla salute delle persone. L’università di Basilea è stata la prima ad indagare le conseguenze del confinamento in una ricerca dal titolo “Swiss corona Stress study”. Mentre prima della pandemia il 3% della popolazione presentava sintomi depressivi gravi, ad aprile questa proporzione è salita al 9% ed oggi sfiora il 20%. Una persona su 5, secondo gli specialisti, ha raggiunto uno stato di stress insopportabile. E tra i giovani è ancora peggio».
La pressione per ripartire nasce, come vi si rimprovera, da un diktat della grande economia o è una spinta che arriva anche dal basso, dai piccoli imprenditori e dalle aziende?
«Il Consiglio federale ha ordinato la chiusura di interi settori economici, che tra l’altro avevano investito, così come richiesto, risorse e impegno in concetti di protezione per la propria clientela. La grande economia globalizzata, che ha le spalle larghe e sbocchi internazionali, non vive certo le medesime preoccupazioni di chi, come le piccole e medie aziende del territorio, non può più contare sul reddito del proprio lavoro a fine mese».
L’UDC è nota per i suoi messaggi “forti”. Nel video "Stop Lockdown" affibbiate un ceffone ad Alain Berset. Ritiene che il ministro della sanità se lo meriti per come sta gestendo la crisi pandemica?
«Ricordo il primo confronto di marzo con il consigliere federale sulla pandemia, quando temevamo la diffusione del virus in Ticino in provenienza dalla Lombardia. Berset a quel tempo non aveva compreso appieno ciò che i ticinesi avevamo già ben chiaro. A seguire la pantomima sui dispositivi di protezione, in particolare le informazioni contraddittorie sull’utilizzo delle mascherine. Se aggiungiamo l’inefficacia del tracciamento dei contatti, che ha mostrato le corde, la mancanza di un concetto nazionale efficace per la protezione delle strutture sociosanitarie, dove sono avvenuti la maggioranza dei decessi e che ora si reclama anche a sinistra, l’implementazione di misure arbitrarie e contraddittorie alle attività economiche e, per terminare, la claudicante acquisizione di vaccini e del piano di vaccinazione, il bilancio, senza voler essere ingenerosi, resta quanto meno discutibile e criticabile».
La vera via d’uscita dalla crisi, per molti, sta nel vaccino. Ma la Confederazione, come altri Paesi, appare in balia delle case produttrici. Ritiene che, invece, siano stati commessi degli errori da Berna in quest’ambito?
«La Svizzera è il paese della farmaceutica ma non figura nel plotone delle Nazioni di punta nell’ambito delle vaccinazioni, ben lontana da Israele che oggi il mondo invidia per la sua celerità. AstraZeneca, da cui abbiamo acquistato più di 5 milioni di dosi, non è ancora stato autorizzato da Swissmedic e crescono i dubbi sulla sua effettiva efficacia. 24 Paesi al contrario hanno puntato sul vaccino russo Sputnik che la prestigiosa rivista internazionale The Lancet ha affermato essere estremamente valido. Di recente l’ambasciatore russo ha confermato che a due riprese il vaccino è stato offerto anche al nostro Paese ma di non aver mai ricevuto risposta dalle nostre autorità. Penso che nel momento in cui il nostro impegno deve essere dedicato a salvare più vite possibili, queste opportunità dovrebbero essere colte senza pregiudizi. Poi sia Swissmedic a confermare o smentire la sua validità e la sua sicurezza per la nostra popolazione. Ma lasciarle lettera morta è irresponsabile».
Il socialista Berset tira il freno, voi UDC premete il gas. La gestione della crisi non sta pagando dazio alle rispettive “ideologie”?
Mi è difficile fare di questa pandemia un discorso tra destra e sinistra. Gli elettori dei partiti, anche al loro interno, hanno sensibilità diverse. L’aspetto sanitario ha dominato tutto il dibattito, e anche se ritengo che questo debba avere la priorità, non considerare le conseguenze sociali e professionali delle decisioni di chi vuole sempre tirare il freno d’emergenza, è irragionevole. La disoccupazione complessiva in questo ultimo anno è aumentata del 40%, malgrado il ricorso al lavoro ridotto, e anche in questo caso sono i giovani a farne maggiormente le spese. Non si può sottovalutare la frustrazione di lavoratrici e lavoratori o di persone che soffrono per l’assenza di rapporti umani».
Il Consiglio di Stato ticinese prende ultimamente carta e penna per manifestare il proprio dissenso all'indirizzo del Consiglio Federale. È una modalità efficace oppure, a conti fatti, sterile?
«Vorrei tanto che lo fosse, e il Consiglio di Stato ha fatto bene a prendere carta e penna, ma se penso a tutte le consultazioni alibi che sono state promosse dal Consiglio federale temo che questi appelli siano poco presi in considerazione. L’obiettivo, a mio avviso, non deve essere tuttavia quello di far pressione su Berset ma sui rappresentanti liberali Keller Sutter e Cassis. Nutro poca speranza in Amherd malgrado le chiare dichiarazioni di alcuni tenori del suo partito. I nostri due Consiglieri Maurer e Parmelin inoltreranno delle proposte per degli allentamenti in sicurezza e per un piano di ripresa progressivo. Poi le maggioranze si formano in quella stanza dei bottoni».