La testimonianza di un ex quadro di UBS, "vittima" della riorganizzazione prevista dalla banca.
Ad aver lasciato l’amaro in bocca non è tanto la fine del rapporto lavorativo, ma le modalità di comunicazione utilizzate.
LUGANO - Essere messi alla porta con una videochiamata. Una pratica sempre più in voga nel mondo, ma di cui la Svizzera non è certo esente. In particolare quando si parla di grandi gruppi o società con centinaia di dipendenti. A farne le spese c’è anche Arno (nome di fantasia), che ha vissuto sulla sua pelle questo discutibile modo d’agire: «Già non è simpatico essere lasciati a casa, almeno il buon gusto di dirlo in faccia bisognerebbe averlo».
La convocazione e la comunicazione - Arno lavorava per UBS da circa 20 anni, con una funzione di quadro, quando la scorsa estate gli è stato fissato un appuntamento da remoto con il suo capo dipartimento. «Nella mail di convocazione non veniva anticipato nulla e quando mi collego via Skype scopro che partecipa anche un responsabile delle risorse umane, il quale mi ha comunicato che la mia posizione era stata soppressa. Non per una questione di risultati, di obiettivi non raggiunti o legati a qualche errore commesso. Ma semplicemente per una questione di costi». La fine del rapporto lavorativo sarebbe infatti legata ai tagli effettuati in tutti i dipartimenti e comunicati la scorsa primavera dalla banca.
Conseguenze soprattutto psicologiche - Non essendo una decisione dovuta alle sue performance, Arno ha avuto diritto a 12 mesi di stipendio pagato e ha potuto usufruire di un programma di reinserimento professionale (il cosiddetto coaching). Ma l’amaro in bocca resta. «Ho preso una bella botta, ma è ormai passata. Ci sono tuttavia altre persone, magari più fragili, che le conseguenze psicologiche, oltre che finanziarie, le subiscono ancora oggi».
Tutta colpa del Covid - Va detto che in quel periodo il collaboratore (come molti altri dipendenti) lavorava la maggior parte del tempo in homeworking. Ed è proprio questa la giustificazione data dalla banca: «Non mi voglio esprimere su un caso specifico e non posso nemmeno farlo non conoscendo l'identità di questa persona. Ma è possibile che alcune comunicazioni siano state fatte forzatamente in remoto a causa della pandemia. Laddove non ci sono restrizioni dovute al Covid, abbiamo sempre incontrato fisicamente i collaboratori», spiega il direttore regionale di UBS Luca Pedrotti.
Sbagliato parlare di licenziamento - Una precisazione, tuttavia, Pedrotti ci tiene a farla. Ed è che in nessun caso si è trattato di una comunicazione di licenziamento, ma di entrata nel piano sociale della banca. Che non sono la stessa cosa: «Parliamo di persone che nell’ambito della riorganizzazione non hanno trovato una collocazione e sono entrate a far parte del nostro piano sociale. Ma non vuole dire che vengano licenziate. Anzi, ci sono molti casi in cui queste persone, in particolare quelle più flessibili e maggiormente qualificate, sono state reinserite in altre posizioni».
Un mondo di yes man - L'ex dipendente di UBS - che preferisce rimanere anonimo - non ne vuole comunque al suo superiore o alla banca in sé, ma ce l’ha piuttosto con le derive di un mondo che ben conosce. «La richiesta è arrivata dall’alto e loro non hanno fatto altro che eseguirla. Purtroppo è un settore sempre più disumanizzato, dove chi sta sotto può solo dire sì, agire da soldatino e mettere dei visti su una tabella. Quando ho iniziato io non era così, c’era più dignità umana».
Muro d'omertà da abbattere - Arno ha voluto raccontare la sua vicenda per rompere «quel muro d’omertà» che troppo spesso contraddistingue il settore. «Ho trovato doveroso farlo perché si pensa che queste cose succedono solo altrove. Invece capitano anche a casa nostra». La nota positiva di tutta la sua ventennale esperienza nell’istituto bancario è la formazione ricevuta nel corso della sua lunga permanenza, che gli ha permesso - assieme alla sua ancor giovane età - di trovare rapidamente un nuovo impiego. E il contratto con il nuovo datore di lavoro, questa volta, è stato siglato guardandosi negli occhi. Non attraverso uno schermo.
Gli impieghi di UBS in Ticino
In Ticino UBS conta circa 750 collaboratori. Nel 2021 il tasso di fluttuazione del personale è stato del 6-8%, nettamente più elevato rispetto agli anni standard (in cui è del 2-3%). Il motivo della variazione - secondo il direttore di UBS Ticino Luca Pedrotti - è da ricercare in un 2020 in cui il mercato del lavoro è stato particolarmente fermo a causa dello scoppio della pandemia. Lo scorso anno ci sono state quindi una cinquantina di assunzioni e una sessantina di uscite (per i motivi più disparati), con il personale che è diminuito di circa il 2%. Quest’anno la riorganizzazione ha toccato per ora quattro persone, fra cui una è andata in prepensionamento.