Claudio Romano, imprenditore, scrive alla Farmacia dell'esercito: «Ho suggerito un metodo ma nessuno risponde» denuncia.
SEMENTINA - La prima lettera è datata 30 gennaio di questo anno, la seconda è del primo marzo. Destinatario: la Farmacia dell'esercito. Il mittente è un imprenditore, Claudio Romano, la cui azienda ha sede a Sementina. Il contenuto non sarebbe di trascurabile importanza visto che si tratta di evitare di mandare in fumo (senza il minimo cenno di metafora) ben 140 milioni di mascherine la cui vita sanitaria sta per volgere al termine.
«Non me lo spiego - esordisce Romano - chiedono aiuto e quando uno gli porta delle proposte nemmeno rispondono. Si tratta di bon ton. Che almeno dicano cosa ne pensano di quanto andiamo proponendo».
Con la sua Sitisa Sa, Romano da oltre 20 anni produce e distribuisce dispositivi medici. Quando ha letto di quella valanga di ausili di protezione (residuato del periodo "bellico" Covid) a rischio incenerimento è sobbalzato sulla sedia: «Ho subito pensato che noi avremmo potuto dare una mano a evitare tutto ciò - racconta - e così ho mandato una proposta che consentirebbe di allungare la vita alle mascherine in scadenza. Per tutta risposta è calato il silenzio».
Il metodo che impedirebbe la morte sanitaria delle mascherine non è sconosciuto: «Molto sommariamente e per far capire a tutti si tratta di un processo di disinfezione che sfrutta la tecnologia UVB - spiega Romano - tecnologia usata per l'abbattimento della carica batterica residua. In Ticino siamo gli unici ad attuare un sistema di produzione che prevede un processo di disinfezione sia in entrata sul prodotto grezzo che a monte. Inoltre, una volta imballato, il prodotto lo trattiamo sempre con tecnologia UVB: se penso a come arrivavano sul mercato le mascherine cinesi mi viene da rabbrividire».
Si è sentito parlare di task-force per il salvataggio dei milioni di stock di ausili medici di protezione conservati nei depositi dell'esercito e di contributi di idee: «Dove? - dice pieno di scetticismo - noi non siamo riusciti a rintracciare un interlocutore con cui confrontarci e spiegare ciò che è già da tempo nelle loro mani. Ripeto: a distanza di 6 mesi nemmeno una virgola di risposta. Chiediamo un atteggiamento diverso da chi ha la responsabilità di guidare certe istituzioni».
Il silenzio assenso qui non vale anche se in questa circostanza darebbe una bella mano alla causa. Romano attende che il telefono squilli o che da Berna arrivi almeno una mail di risposta, «anche solo per dire che abbiamo idee stralunate, cosa che ovviamente non fa al caso nostro».