Negli scorsi giorni alcuni formaggi sono stati richiamati perché contaminati da questo batterio. Ne parliamo con il Laboratorio cantonale.
BELLINZONA - I recenti richiami da parte della grande distribuzione di alcuni formaggi prodotti dal caseificio Studer contaminati dalla Listeria hanno riacceso i riflettori su questo batterio in grado di annidarsi in diversi alimenti (come latticini, formaggi e salumi) e di provocare la listeriosi. Quest'ultima, una malattia infettiva soggetta a dichiarazione obbligatoria, ha solitamente un decorso benigno, ma può produrre sintomi anche molto gravi, soprattutto in quelle persone che hanno le difese immunitarie già indebolite.
Nessuna isteria - Diciamolo però subito: la Listeria, che deve il proprio nome al suo scopritore (il medico britannico Joseph Lister), non deve provocare alcuna... isteria collettiva nella popolazione. I casi causati dal batterio - come si può notare sul sito dell'Ufficio federale di sanità pubblica (Ufsp) - sono infatti pochi e lo scorso anno in Ticino si potevano contare (esattamente) sule dita di una mano (mentre in Svizzera furono 78). Per conoscere un po' di più questo batterio abbiamo comunque voluto interpellare il Laboratorio cantonale, che ci ha spiegato come la Listeria monocytogenes (questo il suo nome scientifico completo) possa essere presente nell’ambiente, nelle acque di scarico e nella vegetazione, così come nel tratto intestinale degli animali. «Può dunque trovarsi nelle materie prime, come il latte, la carne e i vegetali crudi, utilizzate nelle aziende alimentari prima della loro ulteriore lavorazione». Ma non solo. Perché la Listeria può contaminare gli alimenti anche a causa di lacune nelle buone pratiche igieniche. «Gli alimenti di origine animale - come ad esempio la carne, il pesce crudo o affumicato e formaggi non pastorizzati - ma anche i prodotti di origine vegetale crudi sono considerati più a rischio».
I controlli - Le aziende che producono alimenti, quindi, devono essere particolarmente attente a controllare le proprie procedure. «Di primaria importanza - precisano dal Laboratorio cantonale - risultano essere la scelta accurata delle materie prime, le regole d’igiene all’interno dell’azienda, così come la corretta gestione delle fasi previste nel processo produttivo nelle quali avviene l’inattivazione degli eventuali agenti patogeni, quali ad esempio la pastorizzazione o la stagionatura dei prodotti». Le aziende effettuano inoltre nell’ambito del loro autocontrollo analisi a scadenza regolare su derrate alimentari e ambiente produttivo per rilevare l’eventuale presenza di questo patogeno. «Oltre a questo, le autorità di esecuzione verificano la corretta implementazione dell’autocontrollo presso le aziende mediante ispezioni e analisi dei prodotti».
I sintomi - Ispezioni. Analisi delle derrate alimentari. E come ultima ratio il richiamo dei prodotti infetti. Barriere, queste, che garantiscono una buona sicurezza per la popolazione. Ma che alcune volte il batterio riesce a superare. Facendo insorgere la malattia. Ma quali sono i sintomi e come si manifestano? Ce lo spiegano ancora dal Laboratorio cantonale. «Dall'ingestione dell’alimento contaminato possono trascorrere da uno a tre giorni. I sintomi sono simili a quelli di altre gastroenteriti infettive (febbre, nausea e diarrea), ma in molti la malattia è asintomatica».
Chi rischia - L'infezione ha di norma un decorso benigno. Ma non per tutti. La listeriosi rappresenta infatti un pericolo in particolare per le persone con difese immunitarie indebolite, per gli anziani, per i neonati e per le donne in gravidanza. «In questi soggetti - precisa il Laboratorio cantonale - l’infezione può essere invasiva. I batteri si propagano dall’intestino al flusso sanguigno e in altri punti del corpo causando sintomi gravi tra cui meningite, setticemia e polmonite. Nelle donne in gravidanza, l’infezione può causare un aborto spontaneo. Questi sintomi possono insorgere fino anche a 70 giorni dopo l’ingestione di cibo contaminato. Per questo motivo si raccomanda a questi gruppi di persone di astenersi dal consumo di alimenti a rischio».