In Ticino sono una sessantina i giovanissimi che, pur dovendo sottostare all’obbligo scolastico, non frequentano la scuola.
BELLINZONA - Hanno tra gli 11 e i 15 anni, eppure non vanno a scuola. Succede, incredibilmente, anche in Ticino. Stando al registro delle presenze e assenze dell’anno scolastico 2022/2023, sono infatti ben una sessantina, nel nostro cantone, i ragazzi che di fatto, pur essendo in età di scuola obbligatoria, non frequentano le lezioni. Lo rivelano i dati forniti a Tio/20minuti dal Decs.
Questi giovani hanno accumulato più di 425 ore di assenza durante l’anno, precisa la Sezione dell’insegnamento medio, per un tasso di assenteismo che supera il 40%. Eppure di loro si parla poco o niente.
«Ogni caso ci preoccupa» - «Ogni singolo allievo che non frequenta la scuola è per noi una grossa fonte di preoccupazione», afferma Fabiano Frigerio, capogruppo regione Mendrisiotto del Servizio sostegno pedagogico scuole medie. Ma cosa spinge questi adolescenti a disertare le lezioni? «Una parte degli assenteisti è in rottura con la scuola a causa di gravi problematiche personali, e l’istruzione diventa l’ultimo dei loro pensieri. Ci sono poi ragazzi che fanno molta fatica non solo ad affrontare la scuola ma anche la quotidianità nel suo complesso: negli ultimi anni abbiamo osservato un aumento dei disturbi che rimandano a forti stati d’ansia».
La scuola non sta però con le mani in mano, sostiene Frigerio. «Cerchiamo di intervenire subito nella prevenzione quando appaiono i primi segnali di assenteismo. Se un ragazzo rientra a scuola dopo molto tempo mettiamo in atto dei progetti di riaggancio, con un rientro scolastico progressivo, e possiamo anche pensare di adattare il curriculum. In alcuni casi ci appoggiamo sui nostri educatori presenti a livello regionale, ma è importante che la scuola non rimanga sola nell'affrontare questa problematica e che possa appoggiarsi alla rete dei servizi presenti sul territorio».
«Non li si può prelevare da casa tutti i giorni» - È però vero che, se un ragazzo si rifiuta categoricamente di andare a scuola, il margine di manovra si riduce parecchio: «A volte siamo un po’ in scacco. Si spera però sempre che l’assenteismo si riveli solo una fase, per questo è importante tenere aperto un canale di comunicazione». A mali estremi, a un certo punto, seguono però estremi rimedi: «Dopo un certo lasso di tempo siamo tenuti a segnalare la problematica alle Autorità regionali di protezione (ARP). È possibile, a dipendenza della situazione, anche coinvolgere la polizia, ma è chiaro che non può andare tutti i giorni a prelevare un ragazzo a casa».
«Sanno che non succederà niente» - «Quello dell’assenteismo cronico è un fenomeno in aumento. Alcuni casi li abbiamo anche nel nostro istituto», spiega dal canto suo Luca Forni, direttore della Fondazione Paolo Torriani per minorenni di Mendrisio. Il problema, continua, è che «questo trend, essendo sempre più presente, crea un meccanismo di imitazione»: «I ragazzi si dicono “Ah, lui non va a scuola. Allora non vado neanch’io”. E, con il passare del tempo, per sempre più minori non andarci diventa normale». Nel corso dell’adolescenza «questi giovani capiscono infatti che possono non andare a scuola o stare fuori tutta la notte e non succederà niente, nel senso che gli adulti non riescono a porre dei limiti contenitivi. Frequentare le lezioni si trasforma così in un obbligo che esiste solo sulla carta».
In genere la decisione di lasciare la scuola viene inoltre presa più alla leggera di quanto non si pensi. «Nella fase iniziale dell'adolescenza i ragazzi faticano a proiettarsi nel futuro e a pesare le conseguenze di queste azioni», sottolinea Forni. «Questo perché lo sviluppo cerebrale e le abilità cognitive ed emotive si completano proprio nel corso dell'adolescenza». I teenager «sono molto presi dal qui e ora e dal soddisfare i propri bisogni immediati: quindi se fanno fatica ad andare a scuola o hanno altre preoccupazioni e desideri, semplicemente, non ci vanno».
Dall'isolamento al vagabondaggio - Per molti di questi giovanissimi la scuola è infatti fonte di ansie e di angosce, evidenzia l’esperto: «Spesso collezionano fallimenti, hanno una bassa autostima, dei conflitti con i compagni o/e non riescono a integrarsi. Da questo nasce un comportamento difensivo evitante». Quest’ultimo può assumere due forme principali: «La prima è quella del ritiro sociale, che vede il giovane passare quasi tutto il suo tempo chiuso nella sua camera, distaccato dalla società ma costantemente online, mentre la seconda è quella assunta dai ragazzi che tendono ad agire sull’esterno, stando in giro giorno e notte». In entrambi i casi, precisa l'esperto, «c’è un forte rischio di abuso di sostanze, che spesso sono utilizzate come automedicazione».
«Non possiamo caricarli di peso» - I centri educativi per minorenni, dal canto loro, hanno spesso a che fare con queste casistiche. «Quello che fa il personale è dare sostegno ai ragazzi e cercare di convincerli ad andare a scuola. Generalmente lo si fa entrando in camera al mattino e tentando di svegliare il giovane motivandolo verbalmente, tirando su la tapparella e aprendo la finestra. Se però un adolescente non vuole andare a scuola non possiamo portarlo di peso».
Ragazzi interrotti - Il futuro di questi giovanissimi, sul lungo termine, è quindi tutt’altro che roseo. «Spesso questi ragazzi finiscono in assistenza o in AI, oppure davanti al magistrato o in psichiatria», sottolinea Forni. E tutto questo, allo Stato e alla società, costa. Secondo Forni occorre perciò che qualcosa cambi: «In ambito scolastico servono più risorse: bisognerebbe cercare di coinvolgere questi allievi in percorsi alternativi e complementari, individualizzati o strutturati in piccoli sottogruppi. Allo stesso modo, per far fronte all’aggravamento della casistica, sono necessarie più risorse di personale nei centri educativi per minorenni».
Le misure di risparmio appena annunciate dal Governo, volte a raggiungere il pareggio del conto economico, sembrano però andare in tutt'altra direzione. E, secondo Forni, «a lungo termine finiranno per produrre maggiori costi nell’ambito delle prestazioni assistenziali, delle prestazioni psichiatriche e dell’AI, nonché rispetto agli interventi di polizia e della giustizia».