Marcel Mattana è un diacono incaricato dalla Curia. Ed è anche l'assistente spirituale del nuovo centro per richiedenti l'asilo di Balerna.
BALERNA - «So cosa vuol dire soffrire. Ho avuto anche io momenti durissimi. È per questo che oggi aiuto gli altri». Sposato, padre di due figli e tre volte nonno, Marcel Mattana, 65 anni, è un diacono incaricato dalla Curia ticinese. Non solo. È anche l'assistente spirituale del nuovo Centro federale d'asilo Pasture di Balerna. «Sono stato ultimo tra gli ultimi – dice, riferendosi a un passato doloroso e buio –. Il Signore mi ha dato l'opportunità di rifarmi».
Qual è il suo compito principale?
«Queste persone hanno vissuto l'orrore. E quando arrivano al centro di Balerna non sanno ancora quale sarà il loro futuro. Sono tormentati dai loro pensieri. Io cerco di regalare loro un po' di spensieratezza».
Ci parli del suo rapporto coi richiedenti l'asilo.
«Io sono stato diacono volontario anche nei centri provvisori che c'erano prima di questo. Si tratta di persone che hanno delle necessità, dei bisogni primari. Arrivano in Svizzera e si giocano il loro futuro. Ho contatti con i parroci della regione che mettono a disposizione i loro spazi o i loro oratori per accogliere queste persone».
Quanto è importante portare questa gente fuori dalle mura del Centro federale d'asilo?
«È essenziale. Il mio rapporto con loro in quel momento diventa più personale e confidenziale. È nei pomeriggi all'oratorio che io posso mettermi all'ascolto e che loro aprono il loro cuore, raccontando i problemi che hanno. Tanti continuano a rimuginare. Al centro possono restare al massimo 140 giorni: si chiedono spesso quale sarà il loro futuro. Hanno urgenza di staccare un po' la mente, di fare qualcosa di semplice come una normalissima partita di calcetto per esempio».
L'oratorio come luogo di integrazione. Un ritorno al passato.
«Negli oratori ci sono tanti volontari che semplicemente incarnano lo spirito d'accoglienza più puro, regalando gioia. Lo si vede al termine delle giornate, i richiedenti l'asilo tornano al centro con un'energia diversa».
Lei è un diacono cattolico. I suoi utenti spesso sono di altre religioni...
«Poco importa. Il mio ruolo è umanitario prima di tutto. Accolgo persone, non numeri. Questa cosa loro la percepiscono».
È un discorso che va oltre il credo religioso dunque.
«Certo. E ci mancherebbe. Parlando insieme riusciamo a dialogare di un Dio comune, creatore e padre di tutti. È davvero intenso».
Cosa pensano loro di noi?
«Sono grati, prima di tutto. Ma poi anche un po' straniti. Gli utenti pensano di arrivare in un Paese cristiano. Questa è la loro convinzione».
E poi?
«Poi si accorgono che qui in Europa c'è un grande materialismo. Le nostre radici sono cristiane. Ma diamo la testimonianza di una cultura che non sembra tanto cristiana. Questa contraddizione la notano e a tratti non la comprendono. Anche perché spesso chi viene da lontano ha un grande rispetto del sacro. I richiedenti l'asilo hanno davvero parecchio da insegnarci».