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GUERRA COMMERCIALE

Il Ticino alla prova di Trump: «Siamo sorpresi, sarebbe una mazzata»

Le prime valutazioni del direttore della Camera di commercio ticinese Luca Albertoni sulla guerra commerciale scatenata dal tycoon.
Deposit/TiPress
Il Ticino alla prova di Trump: «Siamo sorpresi, sarebbe una mazzata»
Le prime valutazioni del direttore della Camera di commercio ticinese Luca Albertoni sulla guerra commerciale scatenata dal tycoon.

LUGANO - Erano stati annunciati e puntualmente si sono concretizzati. I dazi sventolati ieri sera da Donald Trump a questo giro non risparmieranno la Svizzera. La scure del 31% sulle importazioni di prodotti elvetici è la conseguenza di una bilancia commerciale che pende troppo a favore della Confederazione.

Una cosa è certa: la svolta protezionista e lo spettro di una guerra commerciale danneggerà sia l’economia a stelle e strisce che quella elvetica. 

Un po' di apprensione - E il Ticino? L’apprensione del nostro cantone sulle conseguenze della decisione di Trump è giustificata dai numeri: per le aziende ticinesi, gli Stati Uniti rappresentano il terzo mercato di destinazione dopo Italia e Germania. In soldoni: nel 2023 le esportazioni avevano raggiunto i 693 milioni di franchi.

Insomma, cosa succede ora? «Difficile dire perché regna l’incertezza», ha ammesso a Tio/20Minuti Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio, dell'industria, dell'artigianato e dei servizi del Ticino (Cc-Ti). «Non sappiamo ancora esattamente quali beni sono colpiti. Stiamo facendo le verifiche».

Quali settori saranno colpiti - Ad esempio i prodotti farmaceutici sembrerebbero esclusi, «ma permane qualche dubbio che va chiarito. In una situazione del genere è difficilissimo orientarsi perché, oltre all’incombente minaccia finanziaria, è anche molto difficile pianificare e le alternative non si trovano in breve tempo».

Già perché in primis sarà importante capire chi sarà coinvolto. «Va verificato il caso della farmaceutica, ma saranno molto toccati i settori dei macchinari, degli strumenti di precisione e dell’orologeria e della tecnologia medicale». In sostanza l’industria meccanica, elettrotecnica e metallurgica.

«L'entità è sorprendente» - Detto questo, malgrado l’attesa, il terremoto trumpiano ha scosso, e non poco, l’industria ticinese. «Non ci aspettavamo una misura così importante, l’entità è abbastanza sorprendente», ammette Albertoni. «È chiaro che, prendendo come riferimento la bilancia commerciale favorevole alla Svizzera, per quanto riguarda le merci (se si includessero anche i servizi la situazione sarebbe ben diversa), gli Stati Uniti hanno usato un metro molto severo».

Del resto, secondo Albertoni, la cifra del 61% dei dazi che la Svizzera metterebbe sui prodotti americani non è comprensibile. «Non si capisce come sia stata calcolata, visto che dal 2024 Berna ha abolito tutti i dazi industriali (quelli sull’agricoltura sono al massimo del 25%). Probabilmente nel computo un po’ fantasioso, oltre all’IVA, sono stati ponderati anche altri elementi come le barriere non tariffali».

Come Trump ha partorito il 31% - In sostanza sono stati valutati quindi elementi che sono considerati ostacoli alla stregua di un dazio, «pur non essendo misure pecuniarie dirette». E ancora: «I documenti americani citano esplicitamente vari ambiti legislativi svizzeri che, a loro avviso, sarebbero misure discriminatorie verso gli Stati Uniti».

Ad esempio Washington ha gettato nello stesso pentolone «la tassazione sulle transazioni finanziarie, la legge federale sulla protezione dei dati che ostacolerebbe i flussi digitali internazionali, l’insufficiente lotta alla contraffazione nell’ambito della proprietà intellettuale e un’insufficiente trasparenza nelle procedure di importazione».

«Potrebbe essere una mazzata» - Si apre quindi un periodo di incertezza, ma come restare competitivi? «Negli ultimi anni abbiamo conosciuto molte situazioni delicate, dalla crisi finanziaria alla forza del franco, senza dimenticare la pandemia. Le nostre aziende hanno sempre saputo reagire positivamente, cercando sbocchi di mercato alternativi, razionalizzando i processi, migliorando ulteriormente la qualità dei prodotti».

Questa volta il timore di Albertoni è che ciò non possa bastare «se la mazzata dei dazi si dovesse confermare». «Trovare alternative in breve tempo a un mercato così importante non è per nulla facile. Occorre continuare a lavorare come abbiamo sempre fatto, con prodotti di alta qualità, non facilmente sostituibili e speriamo che la via diplomatica possa risolvere qualche nodo».

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