I familiari del 38enne ferito a morte da un poliziotto chiedono giustizia: «È scappato perché perseguitato ed ha trovato la morte. Ma non aveva problemi con nessuno»
BRISSAGO - Mentre gli inquirenti sono al lavoro per chiarire i contorni del tragico fatto di sangue avvenuto a Brissago, dall'altra parte del globo i familiari del 38enne, ferito a morte da un poliziotto, si interrogano su quanto accaduto. Questi ultimi, intervistati da un giornalista locale, rivelano nuovi dettagli sul richiedente asilo scappato dalla povertà del suo Paese.
Una famiglia numerosa - Si scopre così che S.K., classe 1978, aveva perso i genitori durante la fine della guerra (nel 2009) ed aveva 4 fratelli e 5 sorelle. Una famiglia numerosa, come intuibile dal video girato da un quotidiano srilankese (pubblicato lunedì) che ritraeva un folto gruppo di persone distrutte dal lutto. Il 38enne era sposato con due figlie, una 20enne, l'altra di 16 anni. Era responsabile economicamente della moglie, delle due figlie ed anche della sorella, rimasta vedova in seguito a un incidente.
La fuga dalla guerra civile - S.K., tra tutti i fratelli, viene descritto come quello «più responsabile». Fino al 2009 aveva girato il Paese per sfuggire alla guerra civile. Con la fine della guerra era però ritornato a casa, nel distretto di Mullaithivu ormai devastato dal conflitto. Qui, la famiglia aveva iniziato a lavorare a ore, sul suo terreno. Ma sotto sorveglianza militare. La comunità tamil, infatti, veniva controllata all'interno di «campi di riabilitazione» tenuti sotto stretta sorveglianza per evitare nuove insurrezioni.
Le persecuzioni - Nel 2011, per S.K. iniziano le persecuzioni. «Le autorità locali iniziano a perseguitare mio fratello. L'abbiamo dovuto mandare a Paalai da una sorella. Anche qui però è stato rintracciato ed hanno tentato di ucciderlo».
«Doveva partire» - Per questo il 38enne ha dovuto lasciare lo Sri Lanka. «Abbiamo capito che doveva partire per la sua sicurezza. Ha potuto lasciare il Paese solo dopo aver venduto i gioielli della moglie e delle sorelle. Ha chiesto anche dei prestiti a privati dando in garanzia i terreni di famiglia. Solo così è stato possibile per lui il viaggio in Svizzera».
«Gentile e disponibile» - Intervistata, una sorella descrive S.K. come una persona buona: «Dopo la morte dei nostri genitori, lui è diventato il capo famiglia. Era molto gentile e disponibile con noi e con la gente del nostro paese, non ha mai avuto problemi con nessuno».
«Era perseguitato» - «Era una persona tranquilla, che andava a lavorare e poi tornava a casa - raccontano le figlie -. Ma era perseguitato, avevamo molta paura. Per questo motivo mia madre ed i miei zii hanno deciso di mandarlo in Svizzera. Da lì ci chiamava e ci raccontava le sue giornate».
«Chi penserà a noi?» - La famiglia, senza di lui, teme per il proprio futuro. «È fuggito per restare vivo e provvedere a noi. Ora come faremo ad andare avanti? - si chiede la moglie -. Vogliamo delle risposte dal governo svizzero. Devono rendersi conto che quanto decideranno peserà anche sul nostro futuro. Chiediamo giustizia».
L'ultima telefonata - L'ultima volta che i familiari hanno preso contatto con lui è stato poche ore prima della sua morte. «Abbiamo parlato dei nostri terreni, del lavoro... Ci ha chiesto come stessero i suoi famigliari, gli amici... Ha parlato normalmente, come tutte le volte, sempre con quella preoccupazione e senso di responsabilità nei nostri confronti».
Poi la scoperta. Tramite internet - «Abbiamo saputo che era morto da alcuni parenti che lo hanno scoperto tramite internet. La notizia era già presente sui media tamil. Abbiamo chiamato S. al telefono, nessuna risposta. Quindi ci siamo messi al computer e abbiamo scoperto che era vero. Era stato ucciso da un poliziotto», prosegue la moglie.
«Non era pericoloso e non aveva problemi con nessuno» - Da allora poche risposte e tante domande. «Non era un violento. E non era un terrorista - sottolinea il fratello -. Non ci ha mai detto di avere problemi con qualcuno, solo che alloggiava con altri richiedenti l’asilo e che andava anche a lavorare. Non ci ha mai detto di stare male. Non riusciamo a credere che una persona come lui possa essere stata uccisa in questo modo».
«Vogliamo venire in Ticino» - La famiglia è già stata contattata dall'ambasciata svizzera. «Si è presentata la signora Sushanthy Gobalakrishnan, dell’ambasciata svizzera in Sri Lanka e Maldive. Lei riporterà le nostre richieste, ma non può dirci come andranno le cose. Non sapeva niente di quanto accaduto, né perché hanno sparato a mio fratello,né cosa succederà al suo corpo. E nemmeno chi si assumerà la responsabilità della sua famiglia in Sri Lanka o chi risponderà del danno economico. Non ci ha detto niente, solo di scrivere le nostre richieste, che saranno trasmesse a chi di dovere».
I parenti di S.K., ora, vogliono vederci chiaro e chiedono un visto per raggiungere il Ticino ed essere così la voce del 38enne ucciso. «Abbiamo perso la persona che ci permetteva di vivere. Chiediamo giustizia».