Per il pestaggio di Gravesano l’accusa chiede fino a quattro anni e tre mesi di detenzione
LUGANO - Nel 2008 al Carnevale di Locarno era stato ucciso Damiano Tamagni. Ora, a quasi dieci anni di distanza, si tratta del pestaggio di Gravesano, avvenuto lo scorso 24 febbraio dopo una nottata trascorsa al Carnevale di Bellinzona. Un episodio in cui ha rischiato la vita un ventunenne. «Con fatti del genere avremmo preferito non essere più confrontati» esordisce la procuratrice pubblica Pamela Pedretti davanti alla Corte delle Assise criminali di Lugano. «Non c’è futuro per una società indifferente e riluttante a imparare dal passato». Nei confronti dei due venticinquenni a processo per tentato omicidio intenzionale chiede dunque una pena detentiva di quattro anni e tre mesi per l’italo-brasiliano (oltre a una multa di cento franchi e l’espulsione dal paese per un periodo di nove anni) e di tre anni e dieci mesi per lo svizzero (oltre a una multa di cento franchi). Per entrambi chiede inoltre un trattamento ambulatoriale.
Amnesia non credibile - L’accusa mette in particolare in dubbio le presunte amnesie degli imputati, come pure le più versioni riferite in corso d’inchiesta e in aula. «Ricordano poco dell’aggressione, ma i ricordi sono precisi sui colpi ammessi». Pedretti insiste allora sulla veridicità della versione fornita da una testimone e dei filmati della videosorveglianza.
«I colpi miravano alla testa» - Considerando le ferite riportare dal ventunenne, sottolinea che «il giovane è stato selvaggiament pestato e fortunatamente non ci è scappato il morto». E i colpi miravano «soprattutto alla testa, rischiando coscientemente di provocare il decesso della vittima». Da qui l’accusa di tentato omicidio (per dolo eventuale), che la procuratrice chiede di confermare.
Una nuova perizia? «No!» - In apertura della seconda giornata di dibattimento, i difensori (avvocati Flavio Amadò e Lorenzo Fornara) avevano chiesto una seconda perizia psichiatrica, «per miglior convincimento della Corte e degli imputati». In particolare era stato sottolineato che nella valutazione della scemata imputabilità non è stato tenuto conto dell’alcol e delle sostanze stupefacenti presenti nel sangue. «Non è comprensibile come possano non avere un effetto devastante sulla coscienza e sulla capacità di determinare i propri comportamenti» aveva sottolineato Amadò. La Corte ha però respinto l’istanza, confermando la validità del rapporto. «Non siamo in un supermercato delle perizie giudiziarie, quindi anche una perizia che non piace resta valida».