Due minuti, ma ricchi di significato grazie al protagonista Simone Ganser e specialmente alla piccola Noemi Pagliuca
BRISSAGO - "Il Gelato" è il titolo di un mini-cortometraggio (della durata di appena due minuti) che vede protagonista Simone Ganser, attore formatosi presso l'Accademia Teatro Dimitri e del quale vi abbiamo già parlato quasi un anno fa in riferimento alla mini-serie "Airbnb Secrets" (la cui seconda stagione si avvicina).
Nonostante lo scarno minutaggio, "Il Gelato" (scritto dallo stesso Ganser insieme ad Alice Tognetti, con le riprese e il montaggio di Davide Romeo) ha vari motivi d'interesse. Prima di tutto per gli argomenti universali che tocca: la difficoltà dell'esistenza, il dolore, l'affetto di un padre e l'innocenza disarmante di una bimba. L'ambientazione è quella di un borgo ticinese, con le acque di un lago che si scorgono appena sullo sfondo del vicolo nel quale si svolge l'azione. Il protagonista, Ganser, è un senzatetto, un uomo sconfitto dalla vita ma ancora in grado di provare profonde emozioni. Con lui c'è la dolcissima figlioletta, interpretata dalla piccola Noemi Pagliuca, sei anni e capace di "rubare la scena" in maniera incredibile, come ci ha spiegato lo stesso Simone, che ci ha raccontato come si è sviluppato quello che chiama «un cortometraggio flash».
Simone, come è nato il soggetto del corto?
«È nato dalla volontà di sperimentare una scena drammatica, l'ho avuto in testa per un po' di mesi. Finché, un giorno, la mamma di Noemi mi ha detto che la figlia le aveva espresso il desiderio di recitare e aveva chiesto se ci fosse un ruolo per lei nella seconda stagione di “Airbnb Secrets”. Purtroppo ho dovuto risponderle negativamente ma mi è venuta l'ispirazione di recuperare quella scena drammatica, strutturandola su di me e Noemi».
Cosa ha detto Noemi?
«La mamma le ha spiegato l'idea, lasciandole molta libertà di scelta, e le ha chiesto se le piacesse. Se avesse detto di no, non avremmo fatto nulla. Ma lei ha continuato a essere convinta e, due settimane dopo aver scritto la scena, gliel'ho mostrata. L'abbiamo presa come un gioco o un esperimento, un modo per buttarsi a capofitto nella situazione e nelle emozioni dei personaggi, provando a viverle».
Cosa ti rimane di questo progetto?
«È stata un'ottima esperienza di vita, che mi ha arricchito profondamente. Dopo questo paio d'ore di riprese ero molto felice per aver lavorato con Noemi e stupefatto da lei. Ha reagito in maniera molto professionale, di fatto, lasciandosi trasportare veramente tanto dalla situazione e dalle emozioni. Ha fatto qualcosa che agli attori, come me, costa anni di lavoro ed esercizi».
Un talento naturale, insomma...
«Abbiamo girato la scena sei-sette volte. Le prime per scaldarci ma, nelle ultime tre, lei era in totale ascolto con me e si percepiva che credesse davvero al contesto, che io fossi il padre senzatetto. La guardavo durante la scena e lei piangeva, completamente presa da ciò che le stavo dicendo e dal senso del cortometraggio».
Cosa hai provato in quel momento?
«È una cosa incredibile, mi ha regalato emozioni molto vere e ha facilitato anche il mio lavoro. Mi ha riempito il cuore di gioia».
Hai mai avuto dubbi?
«La sera prima avevo un po' il timore e mi chiedevo se sarei riuscito a calarmi nell'emozione del protagonista, trovandomi a lavorare con una bambina relativamente piccola in una scena drammatica e profonda. Trovandomi lì con Noemi, invece, è sparito tutto e mi è venuta una grandissima voglia di metterle in mano un Oscar. È stata di una professionalità sbalorditiva e ha lavorato benissimo, permettendomi di fare altrettanto».
Il risultato finale ha soddisfatto le tue aspettative iniziali?
«Non avevo grandi aspettative iniziali: ero curioso di vedere se era possibile entrare professionalmente in un contesto drammatico, immergendomi totalmente in un ruolo molto lontano da quello che è il mio vissuto quotidiano. Sono molto contento del risultato finale».