Il noto giornalista sarà ospite al Festival Endorfine il prossimo sabato. Lo abbiamo intervistato
LUGANO - L'Europa non si mette mai in discussione. Eppure ne avrebbe un gran bisogno, a partire dal modo in cui vengono percepite le grandi potenze mondiali. Federico Rampini, giornalista e scrittore italiano, nel suo ultimo libro "Suicidio occidentale" ha saputo cogliere e descrivere il ruolo dell'Occidente oggi, e quello di domani. Alla luce dei nuovi sviluppi geopolitici ed economici, Federico Rampini affronterà queste tematiche durante il Festival Endorfine, in programma dal 9 all'11 al Palazzo dei Congressi di Lugano. Per l'occasione lo abbiamo intervistato.
Partiamo dal suo ultimo libro, “Suicidio occidentale”. L’Europa e l’Occidente hanno ancora dei valori fondativi da difendere?
«Da anni in Occidente abbiamo potenti correnti politiche e culturali che ci colpevolizzano, demoliscono la nostra storia descrivendola come un concentrato di arroganza, imperialismo, sopraffazione. Veniamo descritti come una società razzista, sessista, i cui valori sono ipocriti. Questo processo a noi stessi esige riti di espiazione, auto-flagellazione. Non stupisce che siamo arrivati impreparati all’aggressione della Russia, e indecisi di fronte all’imperialismo cinese. Abbiamo sentito dire per troppo tempo che l’Impero del Male siamo noi e solo noi. I nostri valori? Nel costume, nella vita di tutti giorni, respiriamo a pieni polmoni ciò di cui non ci rendiamo più conto. La libertà. Vorrei che sentissimo un centesimo di quel che provano i popoli a cui i nostri valori sono proibiti. Le ragioni per cui l’Occidente merita di essere difeso, oggi le conoscono con più lucidità di noi i giovani di Hong Kong detenuti in carcere per aver preteso dei diritti nati dalle “nostre” rivoluzioni universali di fine Settecento; quelle ragioni le abbracciano con più vigore gli ucraini che sacrificano la vita pur di essere parte della nostra famiglia, della nostra cultura».
Qual è il bilancio delle sanzioni occidentali nei confronti della Russia, sei mesi dopo l’inizio della guerra?
«Per adesso è modesto o perfino controproducente. Anzitutto perché mezzo mondo non le applica. È rinata una geopolitica dei “non allineati”, come ai tempi della guerra fredda: paesi che decidono di non schierarsi né da una parte né dall’altra, e perseguono i propri interessi economici. È un gruppo che include un gigante come l’India, pur vicino agli Stati Uniti strategicamente; un membro della Nato come la Turchia; più gran parte dell’Asia e del Medio Oriente, dell’Africa, dell’America latina. Poi c’è il fatto che il rincaro del gas naturale arricchisce Putin, sicché gli stessi paesi europei finanziano la sua guerra molto più di quanto lo penalizzino con le sanzioni».
Perché gli esperti parlano soprattutto del ruolo della Cina in merito all’aumento dei prezzi delle energie fossili? La pandemia ha solo rallentato il problema?
«Molto prima della guerra in Ucraina i prezzi dell’energia stavano salendo per effetto della domanda asiatica, trainata dal boom economico cinese. Siamo dentro un ciclo ventennale di inflazione delle materie prime, interrotto da alcuni traumi come la recessione del 2008 e la pandemia del 2020; nonché dalla rivoluzione tecnologica del fracking che per qualche tempo ha consentito all’estrazione di gas e petrolio americano di soddisfare in parte la domanda cinese».
Quanta speculazione c’è sui generi alimentari? Il panico di una crisi alimentare è stato creato ad hoc?
«Non siamo alla vigilia di carestie di massa, l’emergenza alimentare è meno grave di quanto ci è stato detto. E sorge il fondato sospetto che quegli allarmi fossero interessati. Il pianeta produce molto più cibo di quanto serva a sfamare i suoi otto miliardi di abitanti; anche le tensioni sui prezzi sono in via di superamento. Partiamo da questo secondo aspetto. L’inflazione continua a galoppare in molte aree del mondo, trainata soprattutto dai prezzi del gas. Ma il carovita non è più sospinto dai prezzi alimentari. Le maggiori derrate agricole, in particolare i cereali, sono scesi ai livelli di prezzi dove si trovavano prima dell’invasione di Putin in Ucraina. Se concentriamo l’attenzione sul teatro di guerra, che coinvolge il primo esportatore mondiale di grano (Russia) e il quinto (Ucraina), la situazione non è drammatica come si credeva, anzi (Russia e Ucraina sono anche fra i maggiori produttori-esportatori di altri cereali nonché olio di semi). E se la catastrofe è stata evitata non è per merito dell’accordo sponsorizzato da Onu e Turchia, che ha sbloccato il transito di navi cariche di cereali. Pur benefico, quell’accordo è stato raggiunto quando i prezzi dei cereali erano già scesi parecchio. Dietro gli annunci di un’Apocalisse alimentare ci sono stati anche gli attori della speculazione finanziaria; oltre che il mondo delle ong che deve drammatizzare per legittimare una cultura degli aiuti da cui i paesi poveri hanno ricavato la trappola del sottosviluppo».
Cambiando tema, Taiwan sarà la nuova Ucraina? I taiwanesi morirebbero per la loro patria?
«La Cina studia la guerra in Ucraina per ricavarne lezioni utili a Taiwan. Ha usato la visita di Nancy Pelosi per simulare un’alternativa all’invasione-occupazione: un embargo militare in grado di strangolare l’isola. Se i taiwanesi vorranno morire per la libertà e la democrazia come gli ucraini, lo sapremo solo quando arriverà una prova così tragica».
Infine, parliamo del paese che ospiterà il Festival culturale Endorfine: il ruolo della Svizzera nelle relazioni con gli altri Paesi si è modificato negli ultimi anni?
«Siamo tutti rimasti molto colpiti quando la Svizzera ha annunciato la sua adesione a certe sanzioni occidentali contro la Russia. È sembrata una svolta rispetto alla tradizione della neutralità. Nei fatti, vedo notizie meno rassicuranti sulla effettiva applicazione di quelle sanzioni. Peraltro sono in molti a fare i furbi, aggirandole per arricchirsi, anche in altre parti d’Europa e del mondo».
L'appuntamento con Federico Rampini è in programma sabato 10 settembre, ore 15.00, al Palazzo dei Congressi. Ticket e maggiori info su Biglietteria.ch.