Non solo Ankara sta attuando delle politiche di "allontanamento" delle persone migranti. Una panoramica attraverso il globo
ANKARA - Nel corso degli ultimi cinque mesi sono stati arrestati in Turchia 112mila individui e 48mila sono già stati deportati. Erano senza documenti, in attesa del rinnovo del proprio permesso di soggiorno, richiedenti l'asilo o con documentazione regolare. Fra tutte il minimo comune denominatore era il medesimo: si è trattato nella totalità dei casi di persone straniere.
Dalla metà di giugno a questa parte è cresciuto ad Ankara il fenomeno della xenofobia - la così detta "paura del diverso" -, alimentato, secondo un'indagine di ElPaís, dalla crisi economica e dai discorsi per l'appunto xenofobi di media e partiti in larga parte legati all'opposizione. Dato questo slancio, in vista delle comunali del prossimo marzo il presidente turco Erdogan ha dato avvio a una "campagna" volta a dissuadere le persone a emigrare verso la Turchia - divenuta con gli accordi stipulati nel 2016 il "filtro" dell'immigrazione in Europa e in automatico anche sua principale destinazione: è infatti il Paese diviso fra Asia ed Europa quello in cui vive il maggior numero di persone in migrazione, seppur costituiscano tra regolari e irregolari solo il 7% della popolazione.
Oltre alle persone arrestate e deportate, altri 120'531 stranieri hanno lasciato la Turchia negli scorsi mesi. Fra questi ci sono anche coloro che beneficiano della protezione internazionale o di uno status speciale, come iracheni, siriani, afghani e ucraini, che, a fronte di un clima sempre meno accogliente - il quotidiano spagnolo parla di divieti di stabilirsi in determinati quartieri, attacchi violenti e pressioni di vario tipo -, hanno deciso di proseguire il proprio viaggio verso altri Paesi europei o addirittura, in alcuni casi, di tornare indietro, nonostante possa comportare un pericolo per la loro sicurezza personale.
Stando a informazioni fornite da attivisti per i diritti umani, ong e avvocati, le strutture carcerarie in cui si trovano le persone straniere - ce ne sono 28 e la maggioranza è stata costruita o ristrutturata con fondi europei - non rispettano i diritti umani fondamentali. Sono stati segnalati maltrattamenti, stupri e suicidi, assenza di spazio e totale mancanza di privacy e igiene. Una situazione che ricorda la "Guantanamo australiana" sull'isola di Manus in Papua Nuova Guinea chiusa nel corso del 2021 e dove Canberra "alloggiava" i migranti soccorsi in mare con l'obiettivo di dissuaderli dal raggiungere lo Stato del Pacifico.
A ognuno il suo
La deportazione non è un tema relegato al passato, né che riguarda unicamente la Turchia. Ancora alcuni giorni fa l'ex presidente statunitense e candidato alle elezioni del 2024 Donald Trump invocava «rastrellamenti», «arresti», «campi» e di «rimandare al loro Paese» le persone che si trovano attualmente negli Stati Uniti senza documenti validi, come suo primo impegno nel caso in cui dovesse vincere le elezioni l'anno prossimo.
Lo stesso tema, seppur in altri termini, è stato al centro del dibattito italiano la scorsa settimana, con Tirana e Roma che hanno sottoscritto un accordo per la creazione di due centri in cui verranno alloggiati i migranti catturati nel Mediterraneo dalla Guardia di Finanza e dalla Marina italiana. Si prevede che le strutture, che vedranno la luce in Albania, accoglieranno quasi 40mila persone in cerca di un futuro migliore ogni anno.
Il tema dell'allontanamento del rifugiato è anche al centro delle politiche di asilo britanniche, dove si aspetta nei prossimi giorni una decisione per un luogo o non luogo a procedere circa la questione ruandese e con l'apertura, lo scorso giugno, di una struttura galleggiante (la Bibby Stockholm) in cui chiudere 500 persone. I primi richiedenti l'asilo alloggiati avevano sin da subito denunciato condizioni di vita pessime nella struttura.
Politiche di reazione
Di fronte alle sfide del futuro, c'è però chi ha deciso di non restare a guardare. Lo scorso venerdì Australia e Tuvalu hanno stipulato un trattato di sicurezza e migrazione. In sostanza, Canberra ha promesso all'isola particolarmente minacciata dall'innalzamento del livello dei mari e quindi sensibile ai cambiamenti climatici, di accogliere e concedere la residenza a 280 dei suoi cittadini ogni anno.
Il trattato include anche una strategia di adattamento al clima che cambia, come la costruzione di strutture volte a proteggere l'isola abitata da poco più di 11mila persone. L'idea alla base è quella di tentare il possibile affinché la popolazione residente possa continuare a vivere a Tuvalu, ma allo stesso tempo studiare nuove strade e non escludere, ma accettare, la possibilità di dover abbandonare completamente l'isola in un prossimo futuro.