Le parti hanno preso posizione. Ecco il punto della situazione
DAMASCO - Sarebbero oltre 100 i missili lanciati da Usa, Francia e Gran Bretagna contro tre siti chimici del regime siriano, ma «un numero considerevole sarebbe stato intercettato e abbattuto dai sistemi di difesa di Damasco».
È la versione di Mosca sull'attacco avvenuto nella notte in Siria che presenta ancora numerosi punti oscuri, a partire dalle modalità del coordinamento dell'azione e dal fatto che questa sia stata preventivamente comunicata al Cremlino: una circostanza negata dal capo di Stato maggiore delle forze armate americane, Joseph Dunford, e invece sostenuta dalla ministra della Difesa francese, Florence Parly.
Sono inoltre sconosciute al momento le conseguenze degli attacchi.
L'attacco è stato ordinato dal presidente americano Trump che ha sciolto le riserve a una settimana dall'attacco chimico alla città siriana di Duma ed ha agito in stretto coordinamento con Londra e Parigi. Trump ha annunciato l'azione in un drammatico discorso alla nazione in diretta tv, in cui ha insistito sulla necessità di agire contro i crimini e la barbarie perpetrati dal regime di Bashar al Assad, definito un mostro che massacra il proprio popolo. E i primi missili Tomahawk sono partiti proprio mentre il presidente stava ancora parlando, intorno alle 21 ora di Washington, le tre del mattino in Svizzera.
Si è trattato di un'operazione unica durata poco più di un'ora, nel corso della quale sono stati colpiti tre obiettivi legati alla produzione o stoccaggio di armi chimiche: un centro di ricerca scientifica a Damasco, un sito a ovest della città di Homs e un importante posto di comando situato nei pressi del secondo obiettivo. I missili sono partiti da alcuni bombardieri e da almeno una delle navi militari americane nel Mar Rosso. In azione anche fregate e caccia francesi e britannici.
Da parte sua, la premier britannica Theresa May ha chiarito che lo scopo dell'azione «non è un cambio di regime, ma dissuadere Assad dal fare uso di armi chimiche e ammonire che non ci può essere impunità al riguardo». Anche il presidente francese Macron ha spiegato che «la linea rossa fissata dalla Francia nel maggio 2017 è stata oltrepassata».
La prima reazione di Damasco è stata rivolta a sminuire i risultati dell'operazione: se i raid sono finiti qui, hanno affermato fonti del governo di Assad, i danni sono limitati. Anche Mosca ha di fatto ridimensionato le conseguenze degli attacchi, sostenendo che i missili in arrivo sono stati in gran parte intercettati e distrutti dai sistemi di difesa siriani, tutti «fabbricati in Unione Sovietica oltre 30 anni fa». Mosca però non ha esitato a condannare le azioni degli Usa e dei loro alleati che «non resteranno senza conseguenze». Vladimir Putin ha parlato di atto di aggressione e ha annunciato che la Russia chiederà una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Anche Teheran, l'altro grande alleato di Assad, ha fatto sapere che «gli Stati Uniti e i loro alleati sono responsabili per le conseguenze regionali che seguiranno all'attacco», con la guida suprema Khamenei che ha definito Trump, Macron e May «criminali».
E mentre il segretario generale dell'Onu Guterres invita alla «moderazione e alla responsabilità», il segretario generale della Nato Stoltenberg ha dato il suo sostegno all'operazione. Un appoggio all'attacco è arrivato anche da Ue, Germania, Giappone, Canada e Israele.