Il fotografo ticinese Gabriele Spalluto ne ha fotografate 175, mettendo in mostra differenze e similitudini
BALERNA - Se Marc Augé fosse stato svizzero e non francese, probabilmente avrebbe identificato nelle dogane l'esempio perfetto dei non-luoghi. L'antropologo francese è colui che per primo ha studiato il rapporto che si sviluppa tra gli individui e quegli spazi pensati a fini di transito, commercio e tempo libero, come ad esempio gli aeroporti, i grossi centri commerciali e così via.
Cosa significa una dogana - Gabriele Spalluto, a differenza di Augé, non solo è svizzero ma è anche del Mendrisiotto; quindi ha avuto a che fare, fin dall'infanzia, con il non-luogo della dogana e ne ha fatto il grande protagonista del suo primo libro fotografico. "Hic Sunt Leones", pubblicato da Artphilein Editions a Lugano, raccoglie ben 175 fotografie. Una per ogni valico di confine stradale presso il quale esiste ancora un ufficio di servizio. «Sono cresciuto a Balerna, a due chilometri dal confine, quindi per me è sempre stato normale oltrepassare la dogana per andare a Como oppure a Milano. Quando il Covid ha bloccato la frontiera, l'argomento ha iniziato a interessarmi un po' di più». Ecco che Gabriele si è interrogato sul significato del confine e delle dogane. «Per noi magari sono il posto nel quale ti controllano se hai comprato un chilo di prosciutto, ma un migrante le vede in modo completamente diverso». Nei casi estremi la frontiera - reale o fittizia, l'abbiamo visto nel Mediterraneo - può significare la differenza tra la vita e la morte.
La scintilla e la simbologia - È stato quindi il divieto di oltrepassare il valico, per ragioni sanitarie, che ha dato il via al progetto. Che si è concentrato sulle dogane con un ufficio di servizio, «nei quali c'è la bilancia e dove possono essere fatti dei controlli formali. Poi ce ne sono altre che ne sono state private e presso le quali si può transitare solo in determinati orari, ma senza merce». Non si tratta solo di una fedele documentazione di quello che è l'universo-dogana elvetico, ma è anche una descrizione di come in Svizzera ci siano valichi molto diversi l'uno dall'altro. «C'è Brogeda, con una piccola folla di guardie di confine e camionette, e c'è il passaggio contrassegnato solamente da un'asta e una bandiera elvetica. È chiaro come a livello estetico la differenza sia enorme, mentre in pratica questi luoghi hanno lo stesso valore».
La dimensione politica (in senso ampio) - Gabriele non nasconde che "Hic Sunt Leones" ha una dimensione politica (nel senso più ampio del termine). Se prendiamo le immagini «lo sguardo in realtà è neutro: in tutte le fotografie ci sono gli ultimi metri di Svizzera, lo stabile (se presente), il cippo, la bandiera e così via. Il mio è un invito alla riflessione: mostro al lettore quei luoghi dove finisce la Svizzera e inizia qualcos'altro a livello di leggi, regole, eccetera. La domanda attraverso le fotografie è questa: cosa significa la frontiera, a livello simbolico? Per alcuni nulla, per altri tutto». Ecco così che il fruitore si trova a interrogarsi, a guardare questo non-luogo da una prospettiva differente.
Il maggiore riferimento "politico" lo troviamo però nel titolo. "Hic Sunt Leones" è quell'indicazione, attribuita ad alcune mappe africane di epoca romana, sui punti ancora inesplorati - per i quali s'indicava genericamente la presenza dei leoni. «Cosa c'è di là oggi lo sappiamo, ed è davvero qualcosa da cui dobbiamo difenderci?» si chiede, con un quesito che rimane aperto. Spalluto è poi curioso di come questo volume potrebbe essere percepito all'estero. «Nel testo conclusivo ho scritto che ho fatto un libro sui confini, senza mai varcarli. Mi interessa sapere cosa ne pensa chi sta "fuori"».
L'umano non c'è (per ora) - Una caratteristica del progetto è l'esclusione, quasi totale, della figura umana. «M'interessava l'architettura di questi luoghi ma anche il messaggio che passa nel vederli privi di un controllo». Qualcosa che, post Schengen, accade sempre più di frequente. «Prima, quando c'era un doganiere fisso, questi luoghi avevano probabilmente una maggiore identità». Non è un caso che un possibile progetto futuro di Spalluto potrebbe riguardare proprio chi ha lavorato e vissuto in dogana.
Il Ticino fa eccezione - Il Ticino è, fin dalla conformazione geografica, una terra di frontiera. «Siamo abituati alla presenza del confine e a dinamiche come il frontalierato e i flussi migratori. Ma per molti svizzeri non è così. Ho vissuto a Zurigo fino al 2023 e lì ci sono solamente due valichi. Quindi la maggior parte delle persone alle quali illustravo il progetto ha vissuto tutta un'altra situazione. «Non c'è quel rapporto che i ticinesi hanno con la dogana». Quella che ha colpito di più l'artista nel corso del progetto è stata quella d'Indemini. «È isolata dal mondo e per andare, fotografarla e tornare mi ha portato via mezza giornata».
I vari livelli - Cos'ha trovato, Gabriele, in questo viaggio lungo tutta la frontiera durato un intero anno, dal marzo 2022 a quello del 2023? «Tante dogane sono state ristrutturate dagli anni '50 ai primi anni '70 e troviamo prefabbricati tutti simili. Ci sono luoghi, come a Basilea, con un riconosciuto pregio architettonico ma per la maggior parte sono luoghi standardizzati. Che forgiano l'identità nazionale agli occhi degli stranieri, essendo per loro il primo impatto con la Svizzera». Il volume si presta quindi anche a una visione più leggera: «In questo caso diventa una raccolta di cartoline un po' strambe, che raccontano tutte la Svizzera con le proprie peculiarità. Io stesso, grazie a questo progetto, ho scoperto dei luoghi che probabilmente non avrei mai incontrato in vita mia».