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L'OSPITEAnche nell’immigrazione ci vuole misura

12.08.20 - 20:30
Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale Lega dei Ticinesi
Keystone
Anche nell’immigrazione ci vuole misura
Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale Lega dei Ticinesi

“In tutto ci vuole misura”. Questo principio cardine della saggezza popolare va applicato anche all’immigrazione in Svizzera. Ma in questo campo, a causa della libera circolazione delle persone senza limiti, la “misura” è andata del tutto persa da anni. Detto accordo bilaterale ha di fatto conferito a 500 milioni di cittadini UE il diritto di stabilirsi da noi, e anche di mettersi a carico nel nostro Stato sociale. Le conseguenze sono perniciose. E’ urgente rimediare. E che sia necessario rimediare, i cittadini elvetici l’hanno deciso già oltre 6 anni fa, nel febbraio 2014, votando l’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”. Ma questa fondamentale decisione popolare non viene applicata per volontà della maggioranza politica PLR-PPD-PSS-Verdi.

Per riportare l’immigrazione in Svizzera – di cui fa parte anche il fenomeno, esplosivo, del frontalierato – entro termini accettabili, il prossimo 27 settembre occorre votare sì all’iniziativa popolare “Per un’immigrazione moderata” (iniziativa di limitazione).

Contro questa iniziativa è in atto da settimane il consueto terrorismo mediatico orchestrato dall’establishment succube dell’UE.

E’ bene ricordare che negli ultimi 13 anni sono immigrate in Svizzera un milione di persone. Dal 2002 ad oggi, in Ticino il numero di frontalieri è più raddoppiato, passando da poco più di 30mila a quasi 70mila; i frontalieri attivi nel settore terziario sono addirittura quadruplicati. Oggi i permessi G costituiscono un terzo dei lavoratori ticinesi. E solo un settimo degli immigrati UE attivi in Ticino (a livello nazionale la percentuale è del 20%) è impiegato in settori economici dove esiste una carenza di manodopera. Sicché, contrariamente agli studi farlocchi divulgati a scopo di propaganda politica dalla SECO e consimili, sostituzione e dumping salariale sono una manifesta realtà, dovuta alla libera circolazione delle persone. E non solo nel nostro Cantone.

E’ bene anche ricordare che nel 2000, quando si trattò di votare per i primi accordi bilaterali, il Consiglio federale nel proprio opuscolo informativo scrisse che la libera circolazione delle persone non avrebbe comportato conseguenze occupazionali (come no!) e che dagli Stati dell’Unione europea sarebbero immigrate nel nostro Paese in media 8000 persone all’anno. La media reale è sette volte superiore. Mai pronostici vennero smentiti in modo più plateale. Sulla buone fede di simili previsioni si potrebbe dubitare parecchio.

I toni apocalittici, la denigrazione ossessiva e sistematica dell’iniziativa “di limitazione” e dei suoi promotori sono un déjà-vu: si tratta infatti del medesimo, bieco ritornello ripetuto ad oltranza prima della votazione sull’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo (SEE) nel dicembre 1992. Nessuno dei cataclismi ipotizzati in caso di No popolare si è avverato; è successo semmai l’esatto contrario. Adesso la storia si ripete.

Particolarmente squallido, oltre che ridicolo, è il tentativo delle maggioranze politiche di paragonare la situazione di chiusura delle frontiere dovuta al coronavirus a quello che accadrebbe in caso di accettazione dell’iniziativa “di limitazione”. A parte che la pandemia da Covid è un “regalo” proprio della globalizzazione e della libera circolazione; è penoso che l’establishment finga di dimenticare che la libera circolazione senza limiti è in vigore da 13 anni. Forse che prima del giugno 2007 le frontiere svizzere erano sigillate? Forse che l’economia elvetica non esportava? Forse che non era in grado di procurarsi la manodopera qualificata di cui necessitava?
 
Prima del 2007, la nostra economia esportava più di adesso. Ed arrivavano i lavoratori di cui il mercato aveva bisogno. Con la libera circolazione delle persone arrivano, per contro, quei lavoratori di cui l’economia NON ha bisogno, e che soppiantano i residenti. Fermo restando che oltre un terzo degli immigrati UE non si trasferisce in Svizzera per lavorare. Del resto, se davvero la libera circolazione servisse a far giungere manodopera qualificata, dopo 13 anni e con un milione di immigrati in più il problema della sua presunta carenza dovrebbe essere ampiamente risolto. Invece non è così. Chissà come mai?

Perfino l’ex vicepresidente della Banca nazionale svizzera Jean-Pierre Danthine ha dichiarato che la libera circolazione delle persone non serve all’economia; è semplicemente un dogma politico. O meglio, l’immigrazione incontrollata di cittadini UE in Svizzera è un grimaldello di Bruxelles: l’UE vuole accelerare la cosiddetta “integrazione europea” della Svizzera. Dove l’eufemismo “integrazione” sta in realtà per sudditanza del nostro Paese nei confronti dell’Unione europea.

Del resto, se davvero la libera circolazione servisse all’economia, come si spiega che quasi la metà dei disoccupati in Svizzera è straniera?

Altrettanto privo d’oggetto è lo spauracchio della cosiddetta “clausola ghigliottina”, la quale potrebbe portare alla decadenza di tutti gli accordi bilaterali 1, che sono comunque solo 7 su circa 120, in caso di disdetta della libera circolazione da parte della Svizzera. Chi sostiene tale teoria dimentica che l’UE non ha alcun interesse a porre fine a degli accordi di cui è la principale beneficiaria. E va pure rilevato che gli scambi commerciali tra il nostro Paese e l’Unione europea (che comportano un saldo di 33 miliardi annui a vantaggio (!) dell’UE) sono regolati in massima parte dall’accordo di libero scambio del 1972 e dalle regole stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio.

L’importanza degli accordi bilaterali per l’economia elvetica è dunque ampiamente – e di proposito – sopravvalutata. Mentre i gravi danni causati dalla libera circolazione vengono volutamente taciuti.

Il 27 settembre, votiamo Sì senza alcuna remora all’iniziativa “di limitazione”. Essa, è ovvio, non azzererà l’immigrazione: la ricondurrà entro quei limiti ragionevoli e sostenibili che, per colpa delle maggioranze politiche, da troppo tempo appartengono al passato.

 

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