Paolo Camillo Minotti
BELLINZONA - Continuare a intossicarci con i pesticidi per difendere l’agricoltura svizzera? Questo potrebbe essere l’interrogativo aberrante che riassume bene la campagna demagogica contro “le due iniziative agricole estreme”, scatenata dai soliti menatoroni (Consiglio federale, Economiesuisse e politicanti multi-uso che ripetono gli slogans per ogni occasione) e da molti esponenti vicini al mondo agricolo. Per prima cosa ci si deve porre subito una domanda: chi paga questa propaganda demenziale, in cui un ragazzetto allegro fa mostra di segare il ramo su cui è seduto (che è come dire: se non vuoi più intossicarti ingerendo residui di pesticidi saresti uno che si tira la zappa sui piedi)? Forse i grossi produttori di pesticidi e diserbanti? (Singenta,ecc.). In tal caso la vignetta avrebbe un senso, che però va precisato: non siamo noi, né i contadini che taglierebbero il ramo su cui stanno seduti, ma bensì taglieremmo il ramo su cui prosperano Singenta e compari. Per una miglior comprensione del titolo (volutamente provocatorio) dobbiamo ricordare che in alcuni Statuti nei Cantoni svizzeri e in altri paesi alpini in epoca medievale, gli avvelenatori di fontane erano passibili di pene molto severe, spesso la pena capitale! I moderni “avvelenatori di fontane” invece dispongono di cospicui mezzi e sono in grado di convincere con la propria propaganda ingannevole quasi la metà della popolazione (o addirittura la maggioranza della stessa, stando a certi sondaggi) che l’avvelenamento delle fontane sia una buona cosa e che sia sufficiente ridurre solo gradualmente l’avvelenamento nel corso dei prossimi decenni, e che sarebbe controproducente interrompere l’avvelenamento entro 10 anni al più tardi!
Iniziativa sull’“acqua potabile”: i motivi di perplessità
In secondo luogo va fatta un’osservazione: non si può fare di ogni erba un fascio: “le due iniziative estreme” sono molto diverse l’una dall’altra. E sono state pure lanciate da due diversi comitati promotori, indipendenti l’uno dall’altro. Quella contro i pesticidi ha un obbiettivo chiaramente definito, che è perfettamente comprensibile e (per quanto mi riguarda) sottoscrivibile. La seconda iniziativa, cosidetta per un’acqua potabile pulita, è più complessa, nel contempo indiretta ma con finalità multiple, la cui applicazione potrebbe avere anche conseguenze spiacevoli e controproducenti. Che cosa propone infatti questa seconda iniziativa? Propone di togliere i contributi federali a quei contadini che: 1) continueranno a utilizzare pesticidi; 2) utilizzano antibiotici in modo sistematico, a scopo profilattico; 3) non producono in azienda tutto il foraggio che utilizzano. La prima condizione non fa molto senso, in quanto chi rinunciasse ai sussidi (e lo potrebbero fare alcune grosse aziende dell’Altipiano) sarebbe libero di utilizzare i pesticidi: in sostanza quindi, che lo voglia o no, colpirebbe specialmente le piccole e medie aziende. La seconda condizione è teoricamente sottoscrivibile, quantunque l’uso massiccio di antibiotici in veterinaria è molto meno diffuso in Svizzera rispetto a certi Paesi esteri in specie del Nord Europa. La terza condizione infine, se applicata in modo letterale, significherebbe la condanna a morte per molte piccole e medie aziende dell’arco alpino dedite all’allevamento, che negli anni di siccità sono obbligati ad acquistare foraggio, talvolta anche all’estero, a causa della diminuzione dei terreni prativi sui fondovalli e in pianura e alla venuta meno della produzione di foraggio per lo sverno. Questo è un problema cronico per gli allevatori delle valli, ma che si è accentuato negli ultimi tempi. La logica suggerirebbe che dovrebbe essere permesso l’acquisto di foraggio fuori azienda, purché sia certificato non trattato con pesticidi; gli iniziativisti dicono che l’iniziativa andrebbe interpretata appunto così. Ma qui sorge un dubbio: uno scopo dell’iniziativa è anche quello di diminuire l’impatto dei liquami di ingrasso prodotti dagli animali sulle falde freatiche? L’intento si comprenderebbe, però tale impatto potrebbe venir limitato con altri modi: per esempio, anziché limitando il numero di animali allevati, promuovendo per esempio il riutilizzo del colaticcio per produzione di energia. Le tecnologie ci sono già e oltretutto in questa epoca di tanto decantata svolta energetica, è il minimo che si dovrebbe fare. Riassumendo, la mia opinione è che l’accettazione dell’iniziativa contro i pesticidi renderebbe sostanzialmente superflua quella “sull’acqua potabile” (almeno dal punto di vista dell’abbattimento dei residui di pesticidi nella stessa). Mentre le altre finalità perseguite da quest’ultima si potrebbero raggiungere con altri mezzi, più appropriati e anche più efficaci. Più in generale, il pensare di voler raggiungere obbiettivi ecologici tramite aggravi e penalizzazioni di tipo finanziario (come è il caso anche per l’altro tema in votazione il 13 giugno, quello “del clima”) è problematico e molto discutibile dal punto di vista dei princìpi fondanti del nostro ordinamento.
Un Sì alla proibizione dei pesticidi
E perché voto sì all’iniziativa contro i pesticidi? È semplice: è comprovato che i pesticidi distruggono indiscriminatamente flora e fauna nei paraggi dei campi trattati (e non solo gli insetti nocivi e le male erbe), riducendo drasticamente la biodiversità e causando gravi squilibri ambientali (per esempio è dimostrato dall’evidenza empirica che essi sono una concausa determinante nella scomparsa delle api in certe regioni; le ditte produttrici lo negano, asserendo che ciò non sarebbe dimostrato, ma un essere intelligente non attende che sia portata la prova scientifica definitiva della nocività di un prodotto – che può intervenire anche dopo la morte di moltissime persone - , ma provvede ad evitarne l’uso). Rimando a tal proposito a moltissime ricerche giornalistiche serie, per esempio degli eccellenti documentari televisivi trasmessi dalle tivù francesi negli scorsi anni, che dovrebbero far riflettere chi non è del tutto imbecille. In uno di questi documentari si illustrava per esempio che il numero di malformazioni alla nascita e altre gravi malattie erano stranamente più frequenti in ambiente rurale che non nelle agglomerazioni cittadine (alla faccia della salubrità della vita campagnola!) e fu dimostrato anche che alcune regioni rurali con forti tassi di nati malformati erano le stesse dove la Bayer aveva condotto degli esperimenti con nuovi tipi di insetticidi o diserbanti (non ancora autorizzati su tutto il territorio nazionale)! Si spera naturalmente che i pesticidi alla fine autorizzati siano un po’ meno letali. Resta il fatto che l’effetto deleterio per esempio sulla fertilità maschile di certi prodotti è riconosciuta ormai da tutti i ricercatori non asserviti ai colossi della chimica.
I contrari asseriscono che l’uso dei pesticidi si sarebbe già dimezzato rispetto a qualche decennio fa e che perciò l’iniziativa non sarebbe necessaria; ma è un ragionamento strano: chi di noi ingerirebbe spontanemente un prodotto tossico, accontentandosi del fatto che il grado di tossicità sia stato dimezzato rispetto a quello del prodotto di 20 anni prima? Eppoi va detto che l’uso dei prodotti è sì diventato più mirato, ma i prodotti sono diventati più pervasivi e dall’effetto più subdolo (ad esempio l’effetto nocivo si trasmette tramite i semi e i fiori).
E non è nemmeno vero che i pesticidi siano necessari per garantire l’approvvigionamento alimentare e “combattere la fame nel mondo”. Se a breve termine grazie all’uso di pesticidi (e soprattutto di concimi minerali) si può ottenere una resa maggiore, a lungo termine l’uso indiscriminato dei pesticidi peggiora la sostenibilità e la resa dei suoli. Eppoi, come ha giustamente annotato Renzo Cattori in un’intervista a La Regione di qualche settimana fa, il problema vero è che questa maggior resa è abbondantemente annullata dallo spreco di prodotti agricoli in quanto non corrispondenti a parametri di perfezione estetica, dimensioni, ecc.. In altre parole, producendo senza pesticidi, le quantità prodotte sarebbero certamente in molti casi inferiori, però se il consumatore capisse che una carota o un pomodoro un po’ brutti da vedere sono comunque buoni, non vi sarebbe nessuna necessità di ricorrere a maggiori importazioni, né vi sarebbe un drastico aumento del costo dei prodotti.
In definitiva: chi dice che accettare questa “iniziativa estrema” significherebbe penalizzare l’agricoltura indigena, dice un’assurdità. Anzi, se vogliamo applicare la logica al ragionamento, si potrebbe dire che solo una produzione agricola indigena sana (quindi senza pesticidi) giustifica il sostegno convinto all’agricoltura nazionale! Infatti, se l’agricoltura svizzera è (quasi) altrettanto inquinata di quella estera, cade una delle ragioni di buon senso di sostenere l’agricoltura a chilometro zero!
In realtà va però detto che ampi settori dell’agricoltura svizzera e anche ticinese (in special modo gli allevatori nelle regioni alpine e prealpine) – anche quelli non “bio” - sono in gran parte rispettosi della natura, con un uso trascurabile della chimica. Ciò rende l’impegno di molti esponenti del settore primario contro l’iniziativa sui pesticidi a maggior ragione incomprensibile. Essi subiscono probabilmente un condizionamento associativo (il mondo agricolo rappresenta una rete di interessi dove vi è una forte solidarietà reciproca fra i vari attori; anche per un contadino “bio” opporsi alla parola d’ordine dell’Unione svizzera dei contadini richiede una certa indipendenza e un certo coraggio, che non tutti hanno). Eppure va detto a chiare lettere che è sconcertante che vi siano allevatori “bio” che dicono di votare No all’iniziativa contro i pesticidi! È sconcertante perché ciò potrebbe suggerire l’idea che la loro conversione al “bio” non sia molto convinta, ma al contrario frutto di puro opportunismo commerciale.