di Bixio Caprara, Granconsigliere PLRT
Il noto scrittore Carofiglio scrive alcune pertinenti riflessioni sulla manomissione delle parole in atto nella narrativa politica moderna. La strategia preferita consiste nel ribadire all’infinito alcune semplici parole chiave per riuscire a inculcare nella gente alcuni mantra spacciati come verità. Il risultato è l’evidente impoverimento della riflessione, del dibattito e del confronto politico che si spiaggia su banali luoghi comuni e non favorisce la crescita democratica del paese.
La gestione socialista della scuola ticinese, constatazione piuttosto amara, non sfugge a questa logica e l’ultimo episodio è piuttosto eloquente. Il DECS propone nel preventivo 2022 un nuovo modello per la terza classe della scuola media, un nuovo compito per il quale chiede le relative risorse supplementari necessarie. Quindi non si trattava di una sperimentazione.
Il DECS presenta il risultato della consultazione dalla quale emerge che il 30% è d’accordo, il 34% è d’accordo ma pone diverse condizioni vincolanti, il 22% è contrario e 14% non risponde. Da questa consultazione il DECS conclude che una grande maggioranza è favorevole quando è evidente che solo un terzo condivide completamente la proposta. Utile ricordare che il progetto “Scuola che verrà” era stato affossato in votazione popolare per perplessità simili.
Il partito liberale radicale viene frettolosamente additato dai vertici del DECS come retrogrado e conservatore, apparentemente colpevole di voler tornare al passato. Forse ci si dimentica che l’attuale scuola media, tanto inclusiva come in nessun altro Cantone svizzero, è stata voluta da una conduzione liberale del dipartimento. Forse non si vuole, ancora una volta, affrontare talune criticità già emerse allorquando il PLR diede un appoggio condizionato alla scuola che verrà. Le condizioni erano appunto di proporre una vera sperimentazione che confrontasse i risultati di alcune sedi nelle quali si applicasse il progetto dipartimentale con laboratori eterogenei, con quelli raggiunti in altre sedi che proponessero laboratori concepiti in base alle inclinazioni, alle capacità e agli interessi degli allievi. Molti docenti e direttori ritenevano e ritengono interessante già in terza dare la possibilità di una differenziazione tra chi preferisse un indirizzo professionale con lezioni più pratiche rispetto a quello liceale con lezioni con contenuti maggiormente astratti.
Il DECS ha corretto l’impostazione. Dopo la consultazione e dopo che la maggioranza della commissione della gestione ha proposto lo stralcio del nuovo compito, trasforma il credito richiesto in sperimentazione come già fece a suo tempo. Si conferma l’adagio “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.
Il vero quesito è il passaggio alla formazione post-obbligatoria. Se siamo convinti e consapevoli che oggi sia non solo opportuno ma giustificato e corretto considerare la formazione professionale di pari dignità rispetto a quella liceale visto che, grazie alla maturità professionale e all’anno passerella, è possibile raggiungere ogni e qualsiasi formazione superiore, dovremmo mettere davvero al centro dell’attenzione l’allievo favorendo lo sviluppo adeguato delle sue competenze secondo le sue peculiarità. Ben inteso all’interno della stessa scuola media inclusiva che ben conosciamo ma senza rinviare le cosiddette prove di verità al primo anno di liceo con il 40% di bocciati.
Le altre considerazioni manipolatrici della verità non sono utili alla riflessione e al dibattito che la scuola fortunatamente ancora provoca.