di Marco Romano, consigliere nazionale del Centro
MENDRISIO - Il 25 settembre voteremo sulla riforma dell’imposta preventiva. Un tema molto tecnico, le cui dinamiche concrete sfuggono ai non specialisti della materia. Nei fatti si tratta di una “mini-riforma” che prevede l’abolizione dell’imposta preventiva sugli interessi delle nuove obbligazioni. A che pro? La Svizzera ha perso il treno. Abbiamo oggi uno svantaggio competitivo che ha spostato all’estero il mercato dei capitali. Il Consiglio federale e il Parlamento vogliono rimediare a questa situazione penalizzante per l’intero tessuto economico elvetico per guadagnare posti di lavoro ed entrate fiscali. Dobbiamo tornare competitivi. La piazza finanziaria di Lugano ne ha urgente bisogno! Il Lussemburgo, dove non esiste alcuna imposta preventiva, rispetto alla Svizzera emette da solo 190 volte più obbligazioni in relazione al suo PIL.
Nel quadro della riforma vi è un aspetto centrale, ben spiegabile e comprensibile. Sia le analisi della Confederazione sia due studi esterni indipendenti confermano che la riforma permette di ridurre i tassi di interesse con risparmi importanti per gli enti pubblici che emettono obbligazioni. Altro che “ne beneficeranno solo 200 aziende”, il mantra di chi si oppone. Questo progetto va massicciamente ad aiutare il servizio pubblico erogato da Confederazione, Cantoni e Comuni, con risparmi sui tassi di interesse fino a 200 milioni di franchi per le casse pubbliche. Esattamente il contrario di quanto affermano i referendisti, come al solito la sinistra che a priori dice no ad ogni riforma fiscale. Infatti, il 33% di tutte le obbligazioni serve a finanziare le attività degli enti pubblici (scuole, trasporti, ospedali, costruzioni, ecc.). La Confederazione, ad esempio, ha emesso obbligazioni per 70 miliardi di franchi, pari al 13% di tutte quelle emesse in Svizzera. Anche i Cantoni, i Comuni e altri enti di diritto pubblico si finanziano tramite l’emissione di obbligazioni. I restanti due terzi si trovano nel mercato ipotecario e privato.
La riforma genera di conseguenza una dinamica che porterà a maggiori entrate fiscali sul medio e lungo periodo: fino a 350 milioni all’anno entro 5 anni e fino a mezzo miliardo entro dieci anni.
Si tratta di creare migliori condizioni quadro per gli investimenti pubblici con un beneficio per le casse dello Stato e chi vi contribuisce: le cittadine e i cittadini.
Votare SI è un gesto pragmatico e utile per generare dinamismo nell’economia con effetti benefici anche per la macchina dello Stato. Chi si oppone, da anni rifiuta ogni singola riforma fiscale e di fatto chiede più soldi (tasse!) ai contribuenti.