Lorenzo Onderka, Pura
Nei giorni scorsi, a Lugano si è tenuta una tavola rotonda sul tema rischio povertà. Dai dati emersi, il rischio povertà in Ticino tocca il 24% della popolazione, a fronte di un 13% a livello nazionale. Vi invito a rivedere il breve servizio apparso al quotidiano (RSI) di sabato sera: noterete l’assenza di tutti i Consiglieri di Stato, e di tutte le associazioni che rappresentano l’Economia. Eppure, i fattori principali della povertà che avanza sono prettamente legati al mondo del lavoro: salari troppo bassi, lavoro precario, lavoro a tempo parziale, ecc.
Giorgio Fonio, presente alla tavola rotonda, ha parlato di “working poor”, cioè quelle persone che pur lavorando anche al 100%, non guadagnano abbastanza per coprire le spese mensili. Il termine “Working poor” è molto usato a livello politico, ma è un termine troppo blando per descrivere correttamente la situazione. Chi, malgrado lavorando al 100%, o chi trova solo lavori a tempo parziale, magari su chiamata, non arriva a coprire le spese minime vitali, non va definito lavoratore povero, bensì vittima di un moderno sistema di schiavismo. Sì, perché è di questo che si tratta: schiavismo legato all’economia. Questa è la mia opinione e convinzione.
È triste vedere che il nostro Governo assisti impassibile a questa evoluzione dell’Economia e della società, eppure avrebbe i mezzi e l’opportunità per cambiare le cose in alcuni settori economici, semplicemente non lo sta facendo.