Il brasiliano: «Molte volte finivamo una riunione e poi ne iniziava un’altra solo con Michael».
Barrichello: «Jean Todt considerava Schumacher come un figlio. Così per un nuovo arrivato non c'era liberà d'azione».
SAN PAOLO - Quando dicono che la Scuderia per la quale lavori non fa distinzioni fra i piloti affermano il falso? A tal proposito, Rubens Barrichello ha le idee in chiaro descrivendo tutta la sofferenza vissuta all'ombra di un certo Michael Schumacher.
«Ho sempre fatto amicizia e ho sempre avuto una buona sintonia con tutti i miei compagni di squadra - le parole del 51enne brasiliano al podcast Beyond the Grid - Michael, invece, non mi ha mai sostenuto. Non è mai stato presente per offrire aiuto e dunque io non gliel'ho mai chiesto. Molte volte finivamo una riunione e poi ne iniziava un'altra solo con Michael. Alla fine si intuiva che la squadra era tutta per lui».
Certo, Barrichello riconosce la forza dell'allora collega-rivale... «Michael era più forte di me, senza dubbio. Ma lui era in Ferrari già dal 1996, aveva quattro anni di esperienza in più nel team e Jean Todt (l'allora direttore generale, ndr) lo considerava come un figlio. Così, per un nuovo arrivato, non c'era liberà d'azione».
A Maranello Barrichello ha piazzato le tende per cinque anni (fra il 2000 e il 2005), conquistando altrettanti titoli costruttori. Tuttavia, a vincere la classifica piloti è sempre stato Schumacher, con due secondi posti staccati da Rubens.