«L'ufficio, in tutte le sue forme, non rende felice il lavoratore», sostiene l'etnologo Pascal Dibie.
Anche il telelavoro «è un disastro»: si vive nella propria azienda.
LOSANNA - L'ufficio è uno strumento del capitalismo che non cerca di rendere felice il lavoratore: lo sostiene l'etnologo francese Pascal Dibie, che arriva a paragonare certi ambienti open space a carceri e che non ha parole positive nemmeno per il telelavoro.
Da homo sapiens l'essere umano si è trasformato in homo sedens, afferma Dibie in un libro di recente pubblicazione ("Ethnologie du bureau: brève histoire d’une humanité assise") di cui riferisce oggi 24 Heures. A suo avviso l'ufficio, in tutte le sue varianti, serve al capitale, non al lavoratore.
Eppure c'era un tempo in cui lavorare seduti era un privilegio. «È stato imitando il mondo monastico che abbiamo sviluppato l'ufficio», spiega il 71enne alla testata romanda. «Lo sviluppo della scrittura implicava una trasformazione ergonomica dello spazio di lavoro che non esisteva in quanto tale».
A suo avviso gli spazi aperti degli uffici, con i superiori gerarchici che possono guardare e controllare, va messo in relazione con il Panopticon, il carcere ideale progettato nel 1791 dal Jeremy Bentham, che permette a un'unica persona di sorvegliare tutti i detenuti senza che loro sappiano se siano controllati o no.
Open space, coworking o smart working: agli occhi dello specialista non si salva nulla. «Il telelavoro è un disastro: si vive nella propria azienda, si cerca di gestire gli affari il più possibile... e d'altra parte c'è una diffidenza nei tuoi confronti: si presume che se sei a casa non farai nulla!».
Dibie parla anche dello stare seduto praticato dallo studente, frutto di lunga disciplina: di come l'allievo capisca molto velocemente come fare ad essere presente senza esserlo veramente. Una capacità che gli verrà utile in seguito, durante la carriera professionale. «Lo spazio aperto è uno dei dispositivi usati per tenere d'occhio le api nell'alveare: queste però possono essere lì ma foraggiarsi altrove».
Ma allora cosa fare, quali alternative dare all'ufficio? «Non lo so!», risponde l'esperto. «Ci siamo allontanati dall'artigianato per passare a una produzione costantemente assistita dall'informatica. La perdita di significato è evidente e dovremo ripensare il concetto di lavoro, perché è questo che sta cambiando radicalmente».