Le nuove restrizioni imposte da Berna hanno creato indignazione nel settore: «Così veniamo puniti due volte».
Bar e ristoranti della Svizzera francese avrebbero dovuto riaprire a breve dopo la serrata iniziata il 4 novembre: «Si cambiano continuamente le regole del gioco. I romandi hanno fatto dei sacrifici».
LOSANNA - Sta sollevando un'ondata di accese proteste in Romandia l'intenzione espressa dal Consiglio federale di chiudere i ristoranti a partire dalle 19.00: negli editoriali della stampa si parla di schiaffo alla parte francofona del paese e di egoismo svizzero-tedesco. Al fronte, presso i ristoratori, vi è indignazione.
«Siamo arrabbiati e indignati», afferma in un'intervista alla radio RTS Gilles Meystre, presidente di GastroVaud, l'associazione dei bar e ristoranti del canton Vaud. «Si punisce due volte i romandi, si cambiano continuamente le regole del gioco».
«I romandi hanno assunto le loro responsabilità, hanno fatto dei sacrifici, hanno chiuso il 4 novembre», ricorda il deputato al Gran consiglio vodese. «In seguito si sono preparati alla riapertura, hanno approntato le ordinazioni, riempito i frigoriferi, decorato i ristoranti e preso nota delle prenotazioni. E poi, due giorni prima della riapertura si dice loro: "Ascoltate, potrebbe essere che non potrete servire di sera"».
«È una totale mancanza di rispetto del settore e dei romandi, è una punizione collettiva contro i bravi allievi che cerchiamo di essere», prosegue Meystre. «Ricordo che nessuna base scientifica prova attualmente che la ristorazione sia un focolaio di contagi o che presenti una situazione sanitaria più difficile di altre realtà».
«La curva dei contagi da noi si appiattisce e lo fa perché abbiamo trovato un equilibrio fra imperativi sanitari, economici e sociali. Lasciateci riaprire a determinate condizioni: applichiamo regole severe, controllateci, ma lasciateci prendere le nostre responsabilità. Che la Svizzera tedesca assuma a sua volta le sue responsabilità e ci lasci lavorare», tuona il politico PLR.
«Mi si deve spiegare perché quando va male in Romandia si lascia fare ai romandi e si dice che la competenza è dei cantoni, mentre il giorno in cui si vede che nella Svizzera tedesca la curva dei contagi aumenta in modo esponenziale la Confederazione riprende in mano la situazione. Credo che il federalismo abbia bisogno di stabilità: oggi il federalismo è a geometria variabile, con regole che cambiano continuamente, gli attori del ramo non sanno cosa devono fare, non vi è più alcuna prevedibilità, è lo jo-jo permanente».
«Lasciamo i romandi agire come stanno facendo», insiste Meystre. «E se non funzionerà adotteremo nuove misure, ma lasciamo che i governi cantonali agiscano come finora».
Non mancano le stoccate ai membri francofoni del governo di Berna. «I nostri cari consiglieri federali, Alain Berset e Guy Parmelin, si ricordino le loro radici e quanto fatto finora dai romandi. E se al settore sarà veramente portato il colpo finale - perché di questo si tratta, con la chiusura alle 19.00 - si tratta di varare aiuti, ma dei veri aiuti, non peanuts, aiuti a fondo perso, per il ramo e per tutti coloro che sono toccati indirettamente».
«Eravamo agonizzanti, ma ora sarà la morte», si lamenta l'imprenditore. «Per un ristoratore aprire solo a mezzogiorno, considerando anche la minora affluenza legata alla pandemia, non avrà senso», spiega. «Siamo in Romandia, non nella Svizzera tedesca dove forse mangiano alle 18.00».
Vi sarà un'ondata di chiusure e a livello nazionale sono in gioco centinaia di migliaia d'impieghi, osserva il presidente di GastroVaud. Riguardo alle indicazioni di un aiuto pubblico avanzate ieri da Berset, Meystre non si sbilancia. «Alle promesse io ci credo sempre di meno; voglio prima vedere le cifre».
L'operato del Consiglio federale - che ha messo in consultazione presso i cantoni le sue misure sino a venerdì - viene criticato da più parti anche sulla stampa romanda. Sotto osservazione è in particolare Berset, accusato di muoversi a seconda del vento che soffia da Zurigo. Un editorialista è categorico: «Il federalismo finisce là dove comincia l'egoismo dei cantoni svizzero tedeschi».