Il maltempo è stato all'origine di eventi estremi. Tuttavia parte della politica insiste sull'energia nucleare.
A colloquio con Rosa Sardella, responsabile della divisione tecnica Radioprotezione dell’Ispettorato federale della sicurezza nucleare IFSN
BRUGG - Nel decimo anniversario del disastro di Fukushima, e soprattutto nei giorni in cui in Svizzera si discute sul futuro del nucleare, dobbiamo preoccuparci? Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Rosa Sardella, responsabile della divisione tecnica Radioprotezione dell’Ispettorato federale della sicurezza nucleare IFSN.
Come reagì, nel 2011, al disastro della centrale di Fukushima?
«Venerdì 11 marzo 2011 rimane una data impressa nella mia memoria e ricordo ancora le prime notizie confuse, mentre realizzavo lentamente che qualcosa di grave stava succedendo. L’IFSN attivò da quel weekend la propria organizzazione di emergenza per seguire l’evolversi dell’incidente e offrire consulenza alle istanze federali».
Possiamo parlare di un prima e dopo Fukushima per il nucleare svizzero?
«L’incidente di Fukushima ha lasciato un segno indelebile non solo negli attori del nucleare, ma anche nell’opinione pubblica. Fa parte della nostra cultura di sicurezza all’IFSN mantenere sempre un atteggiamento critico e continuamente cerchiamo di apprendere da eventi, siano essi senza conseguenze o incidenti maggiori come Fukushima, per apportare miglioramenti della sicurezza nucleare».
Nelle ultime settimane, abbiamo assistito a delle piene in tutta Europa, Svizzera compresa. Questi eventi non la preoccupano per la sicurezza delle centrali nucleari?
«Il periodico aggiornamento delle carte di pericolo fa parte del processo di continuo miglioramento della sicurezza nucleare in Svizzera. L’IFSN è stato tra i promotori del nuovo studio EXAR sulle piene estreme del fiume Aar del febbraio 2021. Per le centrali nucleari di Mühleberg, Gösgen e Beznau lo studio riporta che il livello delle acque è corrispondente alle piene estreme. L’IFSN ha su questa base valutato che i risultati di EXAR si collocano in un intervallo simile a quello delle analisi effettuate finora per i siti nucleari. Tuttavia, l’IFSN richiede dagli operatori un’attualizzazione specifica delle analisi di sicurezza in corrispondenza delle nuove carte».
Le centrali sono pronte a reagire se le conseguenze del cambiamento climatico dovessero intensificarsi?
«Le centrali nucleari svizzere hanno adeguate misure per garantire la sicurezza nel caso di fenomeni naturali estremi, cioè con un periodo di ritorno di diecimila anni. Le analisi di sicurezza indicano altresì la presenza di margini adeguati che tengono conto delle incertezze intrinseche alle stime per fenomeni estremi».
Queste misure tengono in considerazione solo le centrali con i loro reattori o l’integrità della filiale?
«La filiera qui è limitata alle centrali nucleari o impianti di stoccaggio intermedio dato che non esistono in Svizzera impianti per l’arricchimento del combustibile e il piano settoriale per il deposito di stoccaggio definitivo è nella fase d’identificazione del sito».
Una Fukushima svizzera è possibile?
«Il rischio zero non esiste. Un incidente severo con fusione del nocciolo per una centrale nucleare svizzera non può essere a priori totalmente escluso, tuttavia le centrali dispongono di misure di sicurezza atte a contenerne il rischio. Tali misure di sicurezza come detto vengono periodicamente riesaminate e, dove necessario, migliorate».
La Svizzera di fronte ai rischi di tre centrali
In Svizzera ci sono attualmente quattro centrali nucleari attive, per cui riteniamo lecito domandarci se i cambiamenti climatici, le cui conseguenze sono più che evidenti anche nel nostro paese, possano causare dei danni simili a quelli avvenuti in Giappone nel 2011. In effetti, se la prossimità delle centrali a dei corsi d’acqua è dovuta alla necessità di raffreddare i reattori, questa può rivelarsi pericolosa.
Le infrastrutture a rischio sono tre: Beznau, Gösgen e Mühleberg. Si trovano sulle rive dell’Aar e gli studi per la sicurezza, eseguiti in cooperazione da diversi uffici federali, tengono in considerazione gli eventi naturali estremi, che statisticamente si riproducono ogni 10'000 anni. Si tratta di fenomeni estremamente rari a causa della loro gravità, e le nostre centrali, secondo l’IFSN, sono in grado di affrontarli. È stato proprio in seguito al disastro di Fukushima, che questo ampio margine di sicurezza è stato adottato.