La neutralità potrebbe costare miliardi alla nostra industria bellica, e la Germania sta già pensando di “sfilarsi”
BERNA - Il veto svizzero all'export di armi a Paesi in guerra rischia di costare davvero caro alle aziende belliche della Confederazione con la rescissione di ordini importanti e nell'ordine dei miliardi.
È quello che scrive proprio oggi il TagesAnzeiger citando un'intervista della presidente della Commissione per la Difesa del Bundestag, Marie-Agnes Strack-Zimmerman che definisce la Svizzera «un partner inaffidabile in caso di guerra».
Il motivo è l'attuale Legge federale sul materiale bellico, che vieta l'export di armi in Paesi impegnati in un conflitto. Una condizione percepita come capestro da Berlino che, come altri Paesi Ue e Nato si trova con le armerie mezze vuote a causa della “fame” di armi di Kiev, e che guarda con preoccupazione a un 2023 di assoluta incertezza.
La Legge non aveva mancato di creare qualche piccata fra Berna e Berlino a inizio novembre, per questioni relative all'export - via Germania - in Ucraina. Sulla questione neutralità si era poi chinato anche l'ex-campione di scacchi Boris Kasparov, che aveva criticato la Confederazione. Una presa di posizione, per qualcuno, piuttosto eccessiva.
Se il comportamento del Cremlino dovesse farsi più intenso sul fronte orientale e sconfinare negli Stati vicini attivando gli eserciti, la Confederazione sarebbe costretta a chiudere i rubinetti di munizioni e mezzi. Anche in caso d'invasione e, quindi, di una guerra per autodifesa.
Una clausola che ha portato il governo tedesco a cercare soluzioni alternative: «Al di là di quello che si possa pensare della neutralità svizzera, abbiamo bisogno della massima capacità d'azione», conferma via portavoce il Ministero della Difesa tedesco che ribadisce come «al momento stiamo vagliando delle alternative».
Punto nevralgico, come anche negli Stati Uniti e non solo, è la questione delle munizioni: al momento in Germania ce ne sono pochissime e - in caso di guerra sul suolo tedesco - si stima che potrebbero durare una manciata di giorni (c'è chi dice due). Per rimpolpare le armerie tedesche ci vorrebbe un faraonico investimento di 20-30 miliardi di euro.
La strategia di Berlino, al momento, sarebbe all'insegna della flessibilità: ovvero produrre e/o acquistare solo in caso di bisogno reale. Un'eventualità, questa, che metterebbe fuori dai giochi la Svizzera. Un taglio che il quotidiano zurighese definisce «doloroso» considerando che la Germania è uno dei clienti migliori, con acquisti per 1,4 miliardi negli ultimi 10 anni.
Il Ghepardo della discordia
Tasto particolarmente dolente per Berlino sono i mezzi antiaerei Gepard, tassello fondamentale della difesa tedesca (e che sono stati forniti anche a Kiev) ma in cronico ammanco di munizioni. Per rifornirli - se la Svizzera sarà davvero fuori dai giochi - potrebbero farsi avanti partner insoliti: ovvero il Brasile sotto il governo Lula (Bolsonaro era contrario) e... il Qatar. Quest'ultimo aveva già siglato un contratto per 15 mezzi con il governo Merkel e ha già ricevuto da Brasilia le munizioni. Queste, una volta finiti i Mondiali, potrebbero tornare proprio in Germania.