Ma su un punto Petros Mavromichalis non transige: i giudici saranno europei
BERNA - A pochi giorni da una possibile decisione del Consiglio federale riguardo a un nuovo mandato negoziale per trattare con l'Unione europea l'ambasciatore di Bruxelles a Berna Petros Mavromichalis mostra un certo ottimismo: pur deplorando e giudicando incomprensibile il fallimento delle precedenti trattative ritiene che ora i rischi di insuccesso siano minori. Ma su un punto l'Ue non transige: i giudici saranno europei.
In un intervista pubblicata nel tardo pomeriggio di oggi sul sito di Le Temps, il diplomatico afferma di essere arrivato in Svizzera - tre anni e tre mesi or sono - in un momento difficile. «In primo luogo, perché eravamo nel pieno della pandemia, secondariamente perché fui sorpreso dal fatto che un accordo con la Svizzera, che sembrava essere stato raggiunto, fosse stato abbandonato dal Consiglio federale. A poco a poco, un progetto che aveva definito buono è finito per essere giudicato dannoso. Ancora oggi faccio fatica a capire perché il Consiglio federale abbia sbattuto la porta».
«Può essere che ci fossero dei punti da migliorare», prosegue il 59enne con doppia cittadinanza greca e belga. «È nell'interesse della Svizzera e dell'Ue mantenere buone relazioni, dati gli stretti legami e i valori condivisi. La Confederazione è il quarto partner commerciale dell'Ue e noi siamo il suo principale sbocco. Un milione e mezzo di europei vive e lavora nel vostro paese e 450'000 svizzeri risiedono nei 27 stati membri. Abbiamo il dovere di collaborare per non rendere loro la vita più difficile».
Mavromichalis insiste nel dire che non comprende il fatto che il governo elvetico abbia lasciato il tavolo dei negoziati nel maggio 2021. «Per un paese che coltiva il compromesso, questo non è stato molto svizzero. Mi ha deluso anche il fatto che la questione sia diventata così delicata che i politici hanno evitato di parlarne durante la recente campagna elettorale».
Ora le parti sono tornate a discutere. «Attenzione! Non abbiamo ancora una bozza di accordo», mette in guardia l'esperto di madre lingua greca e francese. «I colloqui esplorativi hanno però permesso di chiarire le questioni più delicate dal punto di vista della Svizzera, come la protezione dei salari, i diritti dei lavoratori e gli aiuti di stato. Questa volta il rischio di fallimento è minore».
La Confederazione deve però sottoporsi a un tribunale dell'Unione europea. «La Svizzera desidera partecipare al mercato dell'Ue, che opera secondo regole che tutti gli attori devono rispettare. In caso di dubbi, queste regole vengono interpretate da una corte suprema, la Corte di giustizia dell'Unione europea, le cui sentenze si applicano a tutti i partecipanti». I magistrati sono stranieri, ammette l'intervistato con studi di diritto a Strasburgo e di economia a Londra. «Anche la Svizzera avrebbe un giudice se fosse membro dell'Unione Europea, ma non lo è: non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca».
Secondo l'ambasciatore Bruxelles e Berna si sono «molto» avvicinate sulla questione della tutela dei salari e della direttiva sulla cittadinanza europea. «Anche se non posso rivelare i dettagli. Vorrei chiarire che con la Svizzera non abbiamo mai parlato di cittadinanza europea, che, ad esempio, consente a un greco che vive in Portogallo da cinque anni di partecipare alle elezioni comunali. Questo non riguarda la Confederazione. Con la Svizzera stiamo parlando della libera circolazione delle persone e dei diritti che ne derivano. Vogliamo che un lavoratore europeo che ha lavorato per cinque anni in Svizzera per un'azienda che fallisce abbia diritto all'indennità di disoccupazione e non venga discriminato. D'altro canto, siamo d'accordo sul fatto che all'interno dell'Ue, come in Svizzera, non è possibile che un cittadino si rechi in un altro paese per usufruire dello stato sociale», conclude il padre di due figlie.