Tre ricercatori svizzeri hanno condotto un'indagine fra i membri del Soccorso alpino svizzero: salvare vite lascia il segno.
ZURIGO - Il loro compito spesso è di salvare vite. E in molti casi mettono a repentaglio la propria. Un "lavoro" duro quello dei soccorritori di montagna (e se ne è avuta l'ennesima prova anche nei recenti fatti della Tête Blanche), che quando scatta un'operazione sono di sovente confrontati con situazioni dove l'intervento è spesso una questione di vita o di morte. Ritrovamenti di cadavere, salvataggi di alpinisti rimasti intrappolati fra le rocce o finiti sotto una valanga: strappare alla morte la vita delle persone lascia il segno e il collasso della mente e le ricadute psicologiche sono dietro l'angolo.
Del tema ne parla il Tages-Anzeiger: lo spunto è venuto da uno studio condotto da tre ricercatori svizzeri che hanno voluto vedere più da vicino quali sono gli "effetti collaterali" di chi fa un certo tipo di attività, e nello specifico i soccorritori di montagna. Che spesso sono volontari che nella vita si occupano di tutt'altro: fra gli "angeli" che vengono calati dagli elicotteri sui ghiacciai, troviamo falegnami, impiegati, agricoltori. E sono loro, più che i professionisti, a soffrire maggiormente della tensione emotiva accumulata, che si traduce - come lo studio ha rilevato - anche in stati di esaurimento, flashback e persino pensieri suicidi.
I volontari quelli più a rischio di tenuta psicologica - Lo psichiatra Christian Mikutta, «che ha lanciato un progetto pilota per aiutare i soccorritori di montagna ad affrontare esperienze sconvolgenti e a evitare un collasso mentale» - scrive il Tages - afferma che proprio i volontari sarebbero più a rischio di tenuta psicologica: «Questo fa la differenza quando si tratta di affrontare esperienze traumatiche» ha dichiarato al quotidiano zurighese, perché al contrario di altre organizzazioni come polizia o pompieri che dispongono di servizi interni, «i volontari devono cercare sostegno da soli».
Il 70% degli intervistati ha vissuto almeno un intervento traumatico - L'indagine ha messo in rilievo che «il 70% dei partecipanti ha già vissuto almeno un intervento traumatico. Per i soccorritori che vengono impiegati frequentemente, la percentuale sale all'85%». In genere si tratta di «valanghe, cadute di massi o ritrovamenti di cadaveri», spiega Mikutta. Poiché i soccorritori alpini sono di solito chiamati nella loro regione d'origine, «c'è anche un alto rischio che debbano correre in aiuto di persone che conoscono. È molto stressante» rileva Mikutta.
Le reazioni alle esperienze traumatiche vissute dai soccorritori: «Non riescono più a provare gioia, hanno pensieri suicidi e soffrono di flashback» - Secondo lo psicologo e ricercatore Mikutta, le esperienze traumatiche possono scatenare diverse reazioni. Ad esempio, «lo stato emotivo del soccorritore cambia e non prova più alcuna gioia» Le persone colpite - ha affermato al Tages - soffrono di estrema stanchezza, dormono poco o hanno pensieri suicidi, e possono verificarsi i cosiddetti flashback. È il caso in cui le persone colpite rivivono l'evento e il loro corpo reagisce come se si trovasse ancora nel bel mezzo di esso, un fenomeno che si verifica all'improvviso ed è completamente incontrollabile. Sono tutte reazioni normali alle esperienze traumatiche - ha spiegato - il punto è che i soccorritori devono esserne consapevoli e chiedere aiuto, se necessario».
Lo psicologo rileva però che siccome «molti soccorritori si assumono una responsabilità enorme per gli altri, hanno maggiore difficoltà a rinunciare« a questa «responsabilità e a chiedere aiuto». Se non lo fanno o lo fanno troppo tardi, «c'è il rischio di gravi conseguenze come la depressione o la dipendenza dall'alcol. Lo sappiamo da studi su larga scala condotti con i servizi di emergenza».
Il progetto pilota: formazione psicologica all'interno del Soccorso Alpino Svizzero - Per Mikutta, «l'indagine mostra la necessità di agire, anche se riconosce che i soccorritori alpini dell'ARS sono molto resistenti». Ad ogni modo, all'interno del Soccorso Alpino Svizzero partirà un progetto pilota: «I dipendenti designati riceveranno una formazione psicologica e potranno essere chiamati dai capi-soccorso durante le missioni più stressanti. L'obiettivo - afferma Mikutta - è anche quello di affrontare la questione nei programmi di formazione dei soccorritori volontari, seguendo l'esempio delle forze di polizia o delle organizzazioni di soccorso, dove questo aspetto è già consolidato». Questi programmi di formazione - conclude - «aiuteranno le persone colpite a sapere che le reazioni al trauma sono normali».