In aula ha parlato lo psichiatra: «Un ragazzo con un forte disturbo della personalità»
BRUGG - Dopo aver convinto l'amico a calarsi nella grotta e aver chiuso l'entrata, facendolo così morire, il 23enne argoviese decise di accendere un fuoco e cucinare un cervelat. È solo uno di una serie di particolari inquietanti che stanno emergendo nel processo in corso a Brugg. «Perchè ha acceso il fuoco per cucinarsi un cervelat?» ha chiesto il giudice. La risposta è stata lapidaria: «Probabilmente perché avevo fame». L'imputato si trova in un'altra stanza e il dibattimento sta andando avanti attraverso il video. Stamattina, in preda a un attacco d'ansia, non è riuscito a stare in aula.
Il profilo dell'omicida che sta venendo fuori da questo processo è quello di una persona con un’intelligenza inferiore alla media. Nel pomeriggio è stato sentito lo psichiatra. Ha parlato di un ragazzo affetto da disturbo della personalità e con forti problemi legati a deficit di attenzione e iperattività (ADHD). «Ha difficoltà ad accettare le regole e ha un comportamento antisociale» ha spiegato, facendo notare che il giovane ha avuto problemi comportamentali fin dall'infanzia, che è stato più volte ricoverato in vari istituti e che non ha mai terminato la scuola. Ha anche raccontato di aver chiesto al ragazzo perché avesse tentato di uccidere l'amico durante l’escursione sulla Cardada Cimetta, e gli ha risposto che era un po' arrabbiato con lui. In aula è intervenuto anche il medico legale. Il giudice ha voluto sapere quanto fosse reale la possibilità che l'omicida, tornato sul luogo del delitto il giorno dopo, quindi davanti alla grotta, potesse ancora sentire i rumori dell'amico che cercava di liberarsi. «Sì, è possibile che il ragazzo fosse ancora vivo. Il tempo di sopravvivenza può essere compreso tra le 16 e le 24 ore, a seconda del fisico della vittima e delle temperature».
L'imputato continua ancora oggi ad avere problemi psicologici. È stato trasferito dal carcere di Soletta a Lenzburg perché aveva colpito con un coltello un altro detenuto. «Mi ha tossito addosso e ha insultato mia madre», si è giustificato il ragazzo. Poi ha riconosciuto di avere qualche problema: «Qualcosa non va in me. Sono un lupo solitario». Sulla sera dell’uccisione continua a dire di non avere ricordi nitidi. «È troppo complicato per me, non so cosa dire». Aveva cercato di convincere l'amico a calarsi in quella stretta grotta per vedere se aveva coraggio, se era davvero un uomo. Inizialmente l'amico si era rifiutato, ma l'omicida ha insistito.
Su di lui pesa ora una richiesta di pena di 16 anni e quattro mesi. Alla domanda del giudice su come vede la sua vita futura, il ragazzo ha risposto: «È giusto che io paga, ho fatto qualcosa di male».