Ha fatto discutere una recente omelia di don Gianfranco Feliciani. Il sacerdote di confine rincara la dose: «Ticinesi ipocriti, nessuna di queste donne è felice»
CHIASSO – «Chiudiamo le porte ai profughi, ma con tanta ipocrisia facciamo entrare le prostitute. Magari definendole artiste». È in sintesi il pensiero espresso da don Gianfranco Feliciani, arciprete di Chiasso, durante una recente omelia. Parole che sono rimbalzate da un media all’altro. E che oggi il sacerdote non si rimangia. «Noi ticinesi siamo ipocriti e indifferenti – spiega a Tio/ 20 Minuti –. E ci dimentichiamo di quanta sofferenza c’è in chi è costretto a vendere il proprio corpo».
Don Feliciani, Chiasso è una specie di “capitale ticinese” delle luci rosse. Che effetto le fa essere parroco in un luogo del genere?
Le mie parole rappresentano l'eco di tutto quello che la gente onesta di Chiasso, credente o meno, pensa. È inutile dire che la prostituzione è il mestiere più vecchio del mondo, solo per metterci a posto la coscienza. Queste ragazze spesso sono sfruttate. E nella maggior parte dei casi sono donne disperate.
Il suo non è dunque solo un discorso di morale cristiana?
Ci mancherebbe. Il mio è un discorso umano. Il vero peccato non è il piacere del sesso. Assolutamente. In questo caso è lo sfruttamento della miseria altrui. In Svizzera c'è la schiavitù del sesso. E tutti ne siamo complici. I profughi che fuggono dalla guerra e dalla fame non li vogliamo. Mentre permettiamo che queste povere donne finiscano nelle mani di uomini senza scrupoli.
Lei è a Chiasso da 17 anni. Ha conosciuto personalmente alcune di queste ragazze?
Molte, in particolare originarie dell’est. Alcune vengono in chiesa a confidarsi. Molte volte piangono. C’è anche chi viene a messa. Poi spariscono. Perché vengono spostate. Capita che ritornino. Per poi andarsene di nuovo. Vivono nell’angoscia, nella paura delle malattie, non si sentono persone. Anche perché la maggior parte del tempo la trascorrono nei loro appartamenti o nelle loro stanze. Si sentono oggetti.
Cosa le raccontano?
C’è chi vuole farla finita. Altre si sentono terribilmente sole. Altre ancora chiedono perdono. Spesso si tratta di donne credenti. La situazione di miseria ti avvicina a Dio.
Sono circa 300 le prostitute dichiarate in Ticino. Molte di queste lavorano a Chiasso. I suoi parrocchiani come percepiscono questo fenomeno?
Capiscono che c’è dell’ingiustizia dietro a questa situazione. Neanche i politici sono contenti. Ma li vedo un po’ soli. Intendiamoci, non si può fare sparire la prostituzione. Ma contenerla sì.
Eppure, negli ultimi anni sono stati messi paletti ben definiti a livello cantonale…
Sì. Ma questa è burocrazia. Io, lo ripeto, parlo di umanità. Forse la gente dovrebbe ribellarsi maggiormente a quello che ormai diamo per scontato. Si pensa che le prostitute si divertano e che guadagnino pure bei gruzzoletti, punto. Non si va oltre. È un po’ come se la maggior parte dei ticinesi se ne fregasse.
Come giudica la scelta di una donna che vende il proprio corpo? È davvero inevitabile in certe circostanze?
Io sono stato anche nel terzo mondo. La disperazione e la fame possono portare a tutto. Ho visto mamme mutilare un bambino per provocare compassione nei passanti a cui chiedere l’elemosina.
In alcuni casi, dunque, non c’è alternativa alla prostituzione?
Sì che c’è. Ma serve qualcuno che ti aiuti a non scivolare nel baratro. Noi, a Chiasso, siamo riusciti a salvare alcune ragazze, a farle uscire dal giro. Ricordo con una certa commozione la storia di una ragazza che era rimasta incinta. E che era stata ospitata, di nascosto, da una famiglia di chiassesi.