Un clan della 'ndrangheta ha commerciato bottiglie fino al 2017, anche in Ticino. Ma sembrano sparite nel nulla. Parla il produttore calabrese
LUGANO - L'etichetta è scura, con disegnata la sagoma di un contadino. Il nome “Zu Lorenzu” dice poco ai clienti dei ristoranti ticinesi dove la bottiglia è stata venduta fino al 2017. Ma in Calabria “zio Lorenzo” è il capostipite di una nota famiglia 'ndranghetista. I suoi discendenti andranno a processo oggi a Catanzaro: sono accusati – tra molte altre cose – di avere smerciato il vino “mafioso” facendo ai ristoratori delle offerte che «non potevano rifiutare».
Un milione di bottiglie - Nelle intercettazioni telefoniche gli 'ndranghetisti parlano di «un milione di bottiglie» vendute tra Italia, Svizzera e Germania. E di alcuni viaggi a Chiasso e a Lugano, dove avrebbero «portato un cofano di vino giusto per regalarlo» e per mostrare il prodotto «a uno che lo ha assaggiato».
16 ristoranti - Nelle carte dell'inchiesta visionate da tio/20minuti si parla anche di «sedici locali» controllati dal clan su suolo elvetico. I nomi restano sconosciuti: la Procura federale fa sapere di avere «visionato gli elementi in possesso degli inquirenti italiani» ma precisa di non avere aperto procedimenti. Due enologi ticinesi interpellati affermano di non essersi mai imbattuti nel vino in questione.
Nessuna denuncia - Ma se le bottiglie sono circolate in Ticino, perché nessun ristoratore ha sporto denuncia? Lo chiediamo a Vincenzo Zito, viticoltore di Cirò Marina (Crotone) da poco uscito di prigione. È stato lui a produrre il vino “Zu Lorenzu” per conto del clan, ma secondo i giudici era una vittima e non un complice.
Il racconto del produttore - «Sono venuti nella mia cantina due personaggi con noti precedenti penali, chiedendomi delle forniture di vino da rivendere con una loro etichetta – racconta al telefono –. Ero in una posizione di debolezza, ho accettato a malincuore». Il viticoltore afferma di avere subìto un danno d'immagine ed economico dalla vicenda: «Il vino mi veniva pagato poco e non sempre» dice. «Capisco la situazione dei ristoratori che come me non se la sono sentita di dire di no. A questa gente, di solito, non occorre nemmeno minacciare. E nessuno denuncia».
Le mani su ristoranti e cantieri - Il discorso, evidentemente, vale anche in Ticino: qui (ma anche in altri Cantoni) la 'ndrangheta è attiva «con l'insediamento di persone o strutture operative con fini di riciclaggio di denaro» e pronta «a cogliere occasioni favorevoli» spiegano dalla Procura federale. La ristorazione è uno dei settori dove i clan «investono di più, in cerca di vantaggi economici o materiali»