Cresce la preoccupazione tra gli afgani che dal Ticino seguono quanto sta accadendo nel Paese in mano ai talebani
SOS Ticino e Croce Rossa Svizzera del Sottoceneri evidenziano il «ruolo deleterio dei social network»: «Molte notizie false si mischiano a quelle vere. Spesso queste persone hanno bisogno di punti di riferimento». L'incontro di solidarietà in programma sabato al Tassino
LUGANO - «Tutti i giorni cerco notizie. Sono preoccupatissimo per i miei genitori e per i miei fratelli. Sono tutti nella zona di Kabul, chiusi in casa per la paura dei talebani». Sadegh Arabzade, classe 1975, afgano che vive in Svizzera da una decina d'anni, ha lo sguardo spento. Stanco. Sfinito. Quello che sta capitando nella sua terra lo turba. Non lo fa dormire. Ancora di più il continuo susseguirsi d'informazioni frammentarie e confuse. «A livello psicologico è un disastro. Con alcuni amici stiamo cercando di organizzare un momento informativo e di unione nel Luganese».
Linee cariche di preoccupazione - Sadegh è uno dei circa 20.000 afgani che vivono su suolo elvetico. Abita a Giubiasco con la moglie e i quattro figli. È una persona gentile, a modo. Porta avanti un negozio in cui vende kebab e nel tempo libero gioca a calcio. La sua è la stessa preoccupazione di tanti, tantissimi altri suoi connazionali. «Ultimamente le nostre linee telefoniche sono sovraccariche – conferma Mario Amato, direttore di SOS Ticino –. Gli afgani che ci contattano sono a decine. C'è tanta disperazione. La richiesta che più ci fanno è relativa a come riuscire a portare qui un proprio famigliare».
Smarrimento social - Situazione piuttosto complessa anche presso i centri di accoglienza da Croce Rossa Svizzera Sezione del Sottoceneri (CRSS). Con una particolarità. «Constatiamo una forte presenza afgana nei foyer per minorenni non accompagnati – spiega Federico Bettini, il responsabile Centro Adulti Paradiso –. Ben 44 ragazzi su 60 vengono dall'Afghanistan. Senza il costante contatto con i loro famigliari si sentono smarriti. E un ruolo deleterio ce l'hanno i social network. Molte notizie false si mischiano a quelle vere. Magari poi vengono anche smentite. Ma nel frattempo l'ansia in chi le ha assimilate va alle stelle».
Cercando punti di riferimento - La CRSS sta agendo lungo un doppio binario. Da una parte ricorre a personale qualificato per dare spiegazioni oggettive su quanto sta succedendo alla popolazione afgana. Dall'altra offre un sostegno educativo e psicologico. «Spesso – sottolinea Bettini – queste persone hanno bisogno di punti di riferimento. Di sapere che c'è qualcuno che le ascolta. Poi ci sono anche le domande pratiche. Ci chiedono come fare per mandare soldi ai parenti o per farli venire in Svizzera. In queste circostanze. Noi ci atteniamo alle direttive. Ma gli scenari possono cambiare».
Il caos informativo «Seguiamo circa 1600 persone e gli afgani sono in crescita – riprende Amato –. In passato ci sono state altre emergenze. Ad esempio per il Kosovo o per la Siria. Quella legata all'Afghanistan è complessa soprattutto per il caos informativo». Sadegh ne sa qualcosa: «Noi in Svizzera riceviamo delle notizie. Però chi è cresciuto in Afghanistan sa che le cose potrebbero essere anche peggiori. È una continua sofferenza».
Solidarietà al Parco Tassino con l'incontro "Lugano abbraccia l'Afghanistan"
LUGANO - «È importante che tutti, e i giovani in particolare, apprezzino le libertà che qui sono garantite» dice Jamileh Amini della comunità afgana in Ticino. L’occasione per rifletterci sarà data questo sabato 11 settembre al Parco Tassino, dove tra le 15 e le 17 si terrà l’incontro - ribattezzato “Lugano abbraccia l’Afghanistan”, promosso da Amnesty International, Fondazione Azione Posti Liberi e SOS Ticino (con punto di ritrovo e partenza alle 14.30 sul piazzale di Besso). Le libertà tutelate in Ticino e calpestate nella terra tornata talebana saranno tema del pomeriggio, che vedrà i partecipanti riuniti davanti al murales creato dagli artisti afgani Art Lords. Tra slogan sui diritti umani, fotografie e letture in persiano e italiano un’occasione unica per capire e solidarizzare con le vittime e i loro parenti che vivono qui: «Ci sono - dice Jamileh, che da dieci anni vive in Ticino - donne disperate perché hanno sorelle e madri sole in Afghanistan. Sono vulnerabili e chi è qui sta malissimo».