Al processo contro la coppia del Bellinzonese che abusava dei figli, parla l'avvocato del ragazzo: «Ancora oggi il mio assistito è legato a mamma e papà»
LUGANO – «Mi è sempre parso un ragazzo taciturno». Al processo contro la coppia del Bellinzonese che abusava sessualmente dei figli, parla l'avvocato Stefano Pizzola, rappresentante del figlio maschio. Ancora oggi il giovane avrebbe un atteggiamento clemente verso mamma e papà. Non ha contatti invece con la sorella. «Attribuisce le colpe per il fatto che i genitori siano in prigione alla sorella e al suo fidanzato».
Quella volta che giocava coi lego – Ma il giovane si rende davvero conto di quanto è accaduto in casa sua dal 2002 in poi? «Sicuramente sì – sostiene Pizzola –. Spiace dirlo, ma il mio dubbio è che se il padre si trovasse nella stessa situazione, riprenderebbe a comportarsi allo stesso modo. Neanche la madre, filmati alla mano, mi convince. Il mio assistito racconta di essere stato per la prima volta coinvolto in un atto sessuale in un giorno d'estate. Lui e sua sorella stavano giocando ai lego. E sono stati chiamati dai genitori per farsi fare una foto mentre consumavano un rapporto».
Cose dell'altro mondo – Pizzola ricorda i momenti in cui il ragazzo doveva toccare la mamma. «Capiva che non era una cosa normale. Ma se ne è reso conto solo alle scuole medie. I suoi compagni guardavano le pornostar e lui invece aveva vissuto certe cose. Un giorno addirittura il papà ha spiegato al figlio come introdurre un vibratore nella vagina della mamma. Cosa si può dire più di questo? È stata chiesta questa cosa a un bimbo, come se si trattasse di insegnargli ad andare in bicicletta. I due figli della coppia sono stati usati come giocattoli».
Camera party – Significativi i cosiddetti camera party. Con i coniugi che fanno sesso. E con i bambini in fondo al letto che intanto guardano la tivù. «Una situazione fuori di testa – ammette l'avvocato –. Come facevano papà e mamma a essere così sicuri che i figli non avessero detto nulla in giro? Entrambi i genitori hanno dichiarato di essere certi che non sarebbe accaduto. Il padre ha affermato che la prendeva come una cosa di complicità».
Dettagli sempre più inquietanti – Minuto dopo minuto quanto trapela dal processo di Lugano diventa sempre più inquietante. «Il ragazzo si sente addirittura in colpa per il fatto che i genitori siano finiti in carcere. Il giovane è stato a lungo succube della situazione. E forse ancora oggi non capisce bene perché lo Stato si sia impicciato in una faccenda privata. Gli imputati sapevano esattamente cosa stavano facendo ai loro figli. Chiedo che l'atto d'accusa venga confermato. Stessa cosa per le pene proposte (15 anni per l'uomo, 14 anni e 6 mesi per la donna)».