I rischi aumentano durante gravidanza e parto? Il cambio del sistema immunitario e il recettore ACE2 fanno la differenza
La Professoressa Valeria Savasi, responsabile di ostetricia e ginecologia al “Sacco” di Milano, ha fatto chiarezza: «Abbiamo avuto in cura la moglie dell'ormai famoso “paziente-1”»
MILANO - Il primo pensiero di tutti noi è in questo momento rivolto al coronavirus, ospite inaspettato e poco piacevole capace di stravolgere quotidianità, vite, governi.
Chiunque, senza distinzione di età, sesso, genere, posizione sociale e quant'altro, sta cercando di capire come affrontare e come comportarsi davanti all'avanzata del contagio del Covid-19. Tra le “categorie” mai – o troppo raramente – citate c'è quella delle donne incinte, o di quelle che hanno appena partorito. Già chiaramente cariche di dubbi per l'evento magico, queste ragazze devono ora confrontarsi con problematiche supplementari.
«Vorrei cominciare dicendo che non esistono prove che possa verificarsi una trasmissione verticale – ha specificato la Professoressa Valeria Savasi, Responsabile Clinica Ostetrica e Ginecologica dell'Ospedale Sacco-Università Milano” - Liquidi amniotici, funicolo, outcame neonatale... seppure relative a solo diciotto pazienti, le analisi hanno sempre smentito il passaggio del virus dalla mamma al bambino».
La gravidanza in sé presenta particolari complicazioni?
«Le donne in dolce attesa sono in generale a maggior rischio di sviluppare infezioni delle vie respiratorie, che possono avere evoluzioni severe e pertanto necessitano di una presa in carico appropriata nel momento in cui accedono alla Struttura sanitaria. Per il momento e per i dati a disposizione, il Covid-19 non sembra creare problemi aggiuntivi. Questo è un bene, tenendo conto del fatto che, per esempio, la SARS fu molto pesante per chi stava portando avanti una gravidanza. Sappiamo dallo studio di altre infezioni virali che è possibile il passaggio dei virus al feto durante le varie fasi della gravidanza o del parto. È necessaria una viremia alta che dura per un certo periodo. Anche questo virus presenta in alcuni soggetti viremie molto alte. Circola quindi nel sangue e non solo nelle vie respiratorie. Potenzialmente potrebbe passare attraverso il compartimento materno-fetale. I dati a disposizione però ci dicono che non è così. Probabilmente questa viremia dura troppo poco per poter arrivare fino al feto. Inoltre non dimentichiamoci che c’è un organo fondamentale di protezione tra la mamma e il suo bambino che è la placenta, il cui compito è anche quello di cercare di impedire il passaggio di microrganismi potenzialmente nocivi».
Come si spiega questa sorta di minor predisposizione al contagio delle donne incinte?
«Difficile stabilirlo. Forse dipende dal sistema immunitario, che in una ragazza gravida passa da TH1 a TH2. Questo cambiamento potrebbe risultare protettivo. Le donne in genere, comunque, sono meno colpite degli uomini. I contagiati sono in prevalenza maschi, e stiamo parlando di una netta prevalenza».
In rapporto, 60%-40%?
«Non ho i dati esatti sui contagiati, ma si registra una prevalenza maschile. I cinesi hanno riportato 42% donne - 58% uomini, in Lombardia, in rianimazione, siamo a 43% - 57%».
Qual è il motivo di tale differenza?
«L'ipotesi è che dipenda dal recettore ACE2, che per le donne è meno espresso a livello degli alveoli. Gli studi scientifici, pure quelli pubblicati sul Lancet (autorevole rivista medica, ndr), non sono purtroppo molti e sono di scarsa qualità. Questo perché in Cina, dove è partito tutto, si sono – giustamente – impegnati più nella cura dei malati che nella ricerca. E qui la situazione è fluida, in continuo aggiornamento».
Le future mamme possono star tranquille. Ma quando si arriva al momento del parto?
«Il parto vaginale rimane sicuramente da preferire, anche perché nelle secrezioni il virus non sembra essere presente. Il taglio cesareo aumenta la morbilità e mortalità materna se motivo di infezione».
Dopo la nascita come ci si deve comportare con l'allattamento?
«Nel latte non è stato trovato il virus e l'allattamento è sempre indicato. Vista la situazione, ci sono in ogni caso delle linee guida da seguire per ridurre al minimo il rischio di contagio. La mamma positiva ma asintomatica può attaccare il bambino, rispettando le comuni regole igieniche del periodo. Deve quindi farlo in un'area dedicata, usando la mascherina e dopo essersi lavata le mani. La mamma che ha sintomi ed è risultata positiva al tampone non può invece attaccare il neonato al seno. Deve spremere il latte. Queste indicazioni sono state date tenendo conto del fatto che non si è ancora in grado di stabilire quanto siano contagiosi i soggetti positivi al tampone ma asintomatici. Un esempio?».
Prego.
«Abbiamo avuto in cura la moglie dell'ormai famoso “paziente-1”. Lei è sempre stata asintomatica, i genitori e la migliore amica, anche lei gravida, sono tutti risultati negativi. Per questo abbiamo deciso di indicare alle donne contagiate ma senza sintomi di attaccare il bambino per l'allattamento».
I dottori del “Sacco” sono in trincea in questo momento...
«Sono giornate intense soprattutto dal punto di vista organizzativo, è vero. Stiamo preparandoci per essere un centro di riferimento per le donne gravide; stiamo pensando percorsi stabiliti per mettere in sicurezza chi è già infetta e chi sospetta di esserlo. All'aspetto clinico si aggiunge poi la ricerca. Questa situazione non è in ogni caso una novità per noi: sappiamo che le epidemie possono arrivare».
Questa è particolarmente contagiosa.
«Ciò di cui non si parla mai, sbagliando, è la morbilità che il coronavirus si porta dietro. Si racconta sempre di mortalità, di percentuale di persone che guariscono o che non sopravvivono, ma non di conseguenze. I polmoni di chi si è trovato a fare i conti con una polmonite interstiziale importante difficilmente torneranno come prima della malattia. Molti dei malati rimarranno segnati: saranno costretti a fare i conti con un'insufficienza respiratoria cronica».