Spray al pepe sui genitali. Elettroshock sui testicoli. Uomini violentati nei carceri. Un senso di vergogna che non porta a denunciare.
TEHERAN - «Sono Alì - racconta un tassista iraniano di 42 anni alla giornalista del Corriere della Sera - sono stato arrestato di fronte all'università di Isfahan, nell'Iran centrale, a fine ottobre per aver sostenuto gli studenti nelle proteste contro il dittatore Khamenei». L'uomo dice di essere stato caricato su di una auto della polizia e portato in uno dei tanti centri di detenzione segreti del regime, dove vengono detenuti, interrogati, e più spesso torturati, i dissidenti. Anche Alì parla di uomini picchiati e torturati ma non solo: «Ci portavano in una stanza e ci riempivano di botte, ci minacciavano e ci ordinavano di violentarci a vicenda. Sul soffitto, c'era una telecamera che riprendeva tutto». Anche in un approfondito reportage della Cnn, pubblicato lo scorso novembre, sono state raccolte numerosissime testimonianze di donne e uomini violentati durante le manifestazioni di piazza o a seguito della carcerazione nei centri di detenzione. Un ragazzo di 17 anni, racconta che «hanno portato quattro uomini che erano stati picchiati, mentre urlavano, in un'altra cella. Uno di loro è stato mandato nella sala d'attesa dove mi trovavo io. Gli ho chiesto cosa significassero tutte quelle urla, ha detto che stavano stuprando gli altri».
Spray al peperoncino sui genitali - Secondo i reporter della Cnn ci sarebbero diversi casi di violenza sessuale nei confronti di donne, ma anche di uomini e minorenni. Si tratterebbero di «testimonianze che descrivono un terrificante modello di brutalità da parte del regime in cui la violenza sessuale e lo stupro vengono utilizzati per sopprimere, demoralizzare e in alcuni casi ricattare i manifestanti». Lo stupro, quindi, così come confermato da numerosi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, viene sempre più utilizzato dalle forze di repressione iraniane come metodo di minaccia e ricatto, per indurre le vittime al silenzio o, al contrario, per estorcere loro una confessione forzata. I casi più numerosi sono stati registrati nell'ovest del Paese, dove vivono le popolazioni curde. Secondo quanto riportato dall'Iran Rights Monitor, una organizzazione non governativa con sede a Londra, «l'uso sistematico degli stupri non è una novità. Avvengono sia sulle donne che sugli uomini, senza differenza». In un rapporto di Amnesty International del 2020, infatti, si parlava già di “inquirenti e guardie” che perpetravano violenze sessuali sui detenuti. «Li denudavano, facevano perquisizioni invasive per umiliarli, usavano spray al peperoncino sui genitali ed elettroshock sui testicoli. I detenuti uomini venivano spesso violentati attraverso la penetrazione con l'utilizzo di vari strumenti».
In quattro mesi arrestati 18.400 manifestanti. In fuga verso l'Irak - Da quando il 13 settembre del 2022, è morta Masha Amini, la ragazza divenuta simbolo della crudeltà del regime iraniano, non passa giorno senza che, dall'Iran, giungano notizie tragiche sul destino dei giovani coraggiosi che, da mesi, hanno deciso di sfidare il regime oppressivo di Khamenei. Secondo l'agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani Hrana, fino ad ora sono stati arrestati oltre 18.400 manifestanti durante i disordini e oltre 500 sono stati uccisi.
Shapur, la prigione più terrificante di Teheran - Per sfuggire a tali violenze sono in tanti che, in queste settimane, su mezzi di fortuna, a piedi o in groppa ad un cavallo, tentano di varcare il confine per rifugiarsi in Iraq e riorganizzare una sorta di resistenza. Chi rimane, invece, continua a protestare, nonostante la sanguinaria repressione della polizia, ed il mondo intero osserva con ammirazione il coraggio di chi rischia la vita per il sogno di un Iran libero dalla dittatura religiosa dell'ayatollah. Scendere in strada vuol dire rischiare di rimanere uccisi dalle pallottole delle forze d'oppressione, come la giovanissima Saha Etebari, di solo 12 anni, uccisa mentre viaggiava in macchina con i suoi genitori, oppure di venire arrestati e subire, come visto, indicibili violenze. Come raccontato alla BBC dall'attivista per i diritti umani Narges Mohammadi, condannata a 10 anni e 8 mesi di carcere, 154 frustate e molte altre sanzioni quale dissidente, «spesso le donne vengono aggredite verbalmente con volgarità sessuali e riferimenti ai genitali per strada, quando vengono arrestate, e successivamente nei centri di detenzione temporanea (…) il centro investigativo di Shapur è uno dei centri di detenzione più famigerati e terrificanti di Teheran dove si svolgono i cosiddetti 'interrogatori tecnici' durante i quali i detenuti vengono picchiati e fatti penzolare dal soffitto, oltre che torturati fisicamente per costringerli a parlare». L'attivista ha altresì raccontato di aver visto cicatrici e lividi sui corpi delle compagne di cella e che una di loro è stata legata mani e piedi a un gancio sul tettino dell'auto che la portava in carcere, per essere poi violentata dagli agenti di sicurezza. In altre inchieste è emerso come nel carcere di Evin, sempre ad Teheran, vi sia la prassi del matrimonio temporaneo, sigheh, che viene utilizzato per ovviare all'impedimento stabilito dalla Sharia di uccidere donne vergini. Con questo stratagemma, la guardia carceraria diviene, anche se per poche ore, 'marito' della detenuta e può abusarne e piacimento prima della condanna a morte il giorno successivo.
Armita, torturata e brutalmente stuprata - Tra le tante storie di violenza, ha fatto il giro del mondo quella di Armita Abbasi, 20 anni e tutta la voglia di vivere la propria vita come le coetanee occidentali. Capelli corti tinti di biondo, piercing al sopracciglio, Armita si filmava su TikTok con i suoi adorati gatti fino a quando ha sentito di volersi mettere a servizio della rivolta. La giovane ha iniziato a condividere sui propri account social dei messaggi critici nei confronti del regime e per questo, con l'accusa di essere una «leader delle proteste» e «di detenere in casa numerose bombe molotv» è stata arrestata nella sua città, Karaj, poco distante da Teheran, lo scorso ottobre. In carcere la ragazza è stata «torturata e brutalmente stuprata», tanto da arrivare in ospedale con la testa rasata e visibilmente traumatizzata, così come riferito dai medici che l'hanno tenuta in cura. «Stava così male che abbiamo pensato avesse un tumore» ha riferito uno dei medici, ma la realtà era ancora più agghiacciante: dal referto medico risulta che la ragazza presentava «sintomi di stupro anale multiplo, e rottura vaginale» anche se, le forze di polizia hanno insistito perché venisse scritto che la violenza sessuale fosse avvenuta prima del suo arresto.
Masooumeh, morta dopo una emorragia vaginale - Masooumeh, invece, aveva solo 14 anni e viveva in un quartiere povero di Teheran. Anche lei ha deciso di aderire alla protesta, togliendosi il velo islamico in classe, ma la polizia morale l'ha identificata e, subito dopo, arrestata. Ciò che è successo dentro le mura del carcere è troppo orribile anche da scrivere, ma non è difficile da immaginare visto che la ragazzina è stata accompagnata in ospedale «per una grave emorragia vaginalex che l'ha uccisa. Dopo aver denunciato quanto successo alla figlia, anche la madre di Masooumeh, è scomparsa nel nulla e i famigliari temono il peggio.
Nel reportage della Cnn è riportata anche la testimonianza di Hana, una donna curdo-iraniana arrestata dalla polizia dopo una manifestazione. Secondo quanto riferito dalla donna «c'erano ragazzi di 13 o 14 anni che sono stati catturati durante le proteste. Sono stati brutalmente picchiati. Hanno picchiato ancora di più le ragazze e le hanno violentate sessualmente». I dati relativi a tale tipo di crimine non sono certi, vuoi perché le vittime hanno paura di denunciare l'accaduto, vuoi perché i familiari delle stesse vengono minacciati di subire il medesimo trattamento. Eppure, come di recente detto dalla premio Nobel per la Pace, l'iraniana Shirin Ebad, alla Bbc «non rivelare questi crimini contribuirebbe al perpetuare l'applicazione di questi metodi repressivi contro le donne. In assenza di potenti organizzazioni civili indipendenti, l'attenzione e il sostegno dei media e delle organizzazioni internazionali per i diritti umani e dell'opinione pubblica globale è essenziale». Nonostante il clima di terrore e la durissima repressione messa in campo dal regime iraniani, però, la rivolta non si placa e i manifestanti continuano a portare avanti il proprio ideale di libertà e giustizia perché, come detto dalla Ebad, «vittoria significa instaurare la democrazia, la pace e i diritti umani e porre fine alla tirannia. Non ci tireremo indietro».