È l'accusa della scrittrice Jean Carroll, testimone del processo civile contro l'ex presidente repubblicano
NEW YORK - «Sono qui perché Donald Trump mi ha violentata». Un frase secca che contiene una sofferenza durata 30 anni per la scrittrice Jean Carroll che, in un'aula del tribunale di New York, ha testimoniato nel processo civile per diffamazione e stupro contro l'ex presidente repubblicano.
«Quando ho scritto della violenza, lui ha negato. Ha mentito e ha distrutto la mia reputazione. Sono qui per riprendermi la mia vita», ha dichiarato la giornalista ed editorialista, oggi 79enne, che è arrivata a Manhattan sorridente, lo sguardo nascosto da grossi occhiali neri.
Carroll, all'epoca giornalista del magazine Elle, ha accusato il tycoon di averla stuprata nel 1996 nel camerino del grande magazzino Bergdorf Goodman dopo che i due si erano conosciuti a una festa con l'allora moglie del tycoon Ivana e suo marito John Johnson.
Di Trump allora pensava fosse «un abile narratore, un personaggio conosciuto e benvoluto a New York». E l'idea di consigliarlo nel fare shopping - questo era il motivo ufficiale del loro appuntamento - la divertiva. «Era un tipico pomeriggio newyorchese. Io ero un'editorialista annoiata e Donald Trump voleva dei suggerimenti per un regalo. Mi sembrava un'idea meravigliosa». Fino a quando, nel reparto lingerie, la giornata si è trasformata in un incubo.
«È stata una sensazione orribile. Ha messo la mano dentro di me e girato il dito», ha raccontato la scrittrice rivelando i dettagli della violenza e confessando di essere ancora tormentata dal ricordo di Trump che abusa di lei nel camerino. Carroll ha anche spiegato perché non avesse mai denunciato l'ex presidente prima del 2019. «Mi vergognavo, pensavo fosse colpa mia», ha detto con la voce strozzata dalle lacrime. L'esperienza terrificante «l'ha segnata per sempre» e non è mai più riuscita ad avere una relazione amorosa.
Poco prima dell'inizio del processo l'ex presidente è tornato a inveire contro la scrittrice con un post su Truth, la sua rete sociale, accusandola di mentire, di «essere un burattino nelle mani della politica» e uno strumento di una «caccia alle streghe nei suoi confronti». I classici strali che Trump lancia contro tutti i guai giudiziari che lo vedono coinvolto, dal caso Stormy Daniels, per il quale è stato incriminato, all'indagine sui tentativi di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020 in Georgia, alle carte top secret a Mar-a-Lago (Florida).
In questo caso, tuttavia, il tycoon è anche accusato di diffamazione e il giudice del processo Lewis Kaplan, ha avvertito i suoi avvocati che questo genere di commenti alla vigilia di un procedimento «sono totalmente inappropriati» e rischiano di «condizionare la giuria».
L'argomento della «ricerca della fama» è stato usato anche dall'avvocato del tycoon, Joe Tacopina, nelle sue argomentazioni iniziali. «Carroll è diventata una celebrità e si è goduta ogni momento», ha attaccato il legale che, nonostante le pressioni del giudice, non ha voluto chiarire se Trump si presenterà alla sbarra per testimoniare. Se giudicato colpevole, il tycoon rischia soltanto una sanzione in denaro, ma è chiaro che una condanna rappresenterebbe un'altra ombra sulla sua corsa alla Casa Bianca.