Teheran promette «una dura vendetta» e l'ambasciata americana in Iraq sollecita i cittadini. Possibilità di una guerra? Al 40% secondo gli analisti
BAGHDAD - L’improvvisa uccisione del capo militare iraniano Qassem Soleimani - ordinata dal presidente americano Donald Trump a poche ore dall’attacco subito all’ambasciata a stelle e strisce di Baghdad - ha portato i rapporti (mai stati idilliaci) tra Washington e la Repubblica Islamica dell'Iran ad un’escalation di tensione storica. La risposta di Teheran è stata secca: ci saranno ritorsioni.
L’ayatollah Ali Khamenei non ha usato mezze parole, annunciando «una dura vendetta» contro quello che il ministro degli affari esteri Zarif ha definito «un atto di terrorismo internazionale». Quanto accaduto è a tutti gli effetti un momento «spartiacque» secondo gli analisti. Per l’Eurasia Group - citato dalla CNBC - la risposta di Teheran «si arresterà poco prima di quella che consideriamo come una vera guerra».
Linea dura anche dal vice capo dei Pasdaran, Mohammad Reza Naghdi, che pone le truppe USA davanti a un bivio: «Devono cominciare a ritirare le loro forze dalla regione islamica da oggi, o cominciare a comprare bare per i loro soldati». I venti di guerra quindi soffiano, ma le possibilità di un conflitto - sempre secondo gli analisti - si situano «attorno al 40%».
«Lasciate il Paese» - Per Mohammad Marandi - analista di Teheran - il raid ordinato da Trump costituisce una dichiarazione di guerra contro l’Iran e l’Iraq. «Gli occidentali farebbero bene a lasciare immediatamente Paesi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Iraq», si legge sul Times Of Israel. Lo stesso ha ribadito anche l'ambasciata degli Stati Uniti a Baghdad, sollecitando i cittadini americani a lasciare subito il Paese. «Partano per via aerea dove possibile, altrimenti raggiungano altri paesi via terra», si legge in una nota.
Quello che è certo è che l’attacco «rafforzerà la resistenza nella regione» contro gli Stati Uniti, ha dichiarato Zarif, sottolineando la «brutalità e la stupidità delle forze terroriste americane» e promettendo che il ministero degli affari esteri farà ricorso a tutte le proprie risorse politiche e legali per far sì che Washington paghi per «un chiaro atto criminale».
Identificato da un anello - Il corpo del generale Soleimani è stato ridotto in pezzi nel bombardamento ed è stato possibile riconoscerlo solo dall'anello che portava a un dito della mano sinistra. Lo riferiscono fonti irachene citate da media regionali. In rete circolano anche fotografie - di cui non è possibile verificare l'autenticità - che mostrano una mano mozzata con al dito l'anello, con una grande pietra dura di colore rosso.
Vite salvate - «La decisione del presidente Trump ha salvato molte vite umane»: lo ha detto il segretario di Stato americano Mike Pompeo alla Cnn spiegando come con l'uccisione di Soleimani «è stato sventato un imminente attacco». Pompeo non ha specificato la natura dell'imminente attacco e il luogo in cui sarebbe stato sferrato. Ha invece sottolineato come il popolo iracheno sostiene la decisione americana desideroso di avere un Paese sovrano, indipendente e libero da ogni influenza da parte dell'Iran.
In una serie di Tweet, il segretario di Stato americano ha inoltre affermato che gli Stati Uniti restano «impegnati nella de-escalation» dopo l'uccisione del comandante iraniano Qasem Soleimani in un attacco americano. E ha riferito dei aver parlato con rappresentanti di Cina, Gran Bretagna e Germania della decisione del presidente Donald Trump sul blitz in Iraq.
In particolare, Pompeo ha riferito di aver parlato oggi con Yang Jiechi, membro del Politburo cinese, «per discutere la decisione di @realDonaldTrump' di eliminare Soleimani in risposta a imminenti minacce a vite americane. Ho ribadito il nostro impegno alla de-escalation».
Ancora, Pompeo, ha scritto di aver parlato della decisione con il britannico Dominic Raab: «Sono grato che i nostri alleati riconoscano le aggressive minacce poste dalle forze iraniane di Qods», ha scritto. Quindi il segretario di Stato Usa ha riferito di aver parlato con il tedesco Heiko Maas, notando che «anche la Germania è preoccupata per le continue provocazioni militari iraniane».
Evacuano anche le compagnie petrolifere - Le compagnie petrolifere straniere presenti nella regione irachena di Bassora, vicino al confine con l'Iran, hanno ordinato l'evacuazione di decine di loro dipendenti. Ne danno notizia media libanesi citando la televisione di Stato irachena.
L'evacuazione del personale straniero, secondo alcuni media che rilanciano la notizia, non dovrebbe compromettere l'operatività degli impianti.