Ha prevalso il voler mettere fine alle tensioni tra i due Paesi sulla verità sulla morte del giornalista dissidente
ANKARA - Un processo per omicidio diventa politico. Una corte di giustizia turca ha accettato di trasferire all'Arabia Saudita il procedimento penale per l'assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Le organizzazioni per i diritti umani deplorano questa decisione che punta a creare legami più forti tra i governi, lasciando punti di domanda sulla sorte di un uomo ucciso.
Il due ottobre 2018 Jamal Khashoggi si recava al consolato dell'Arabia Saudita di Istanbul senza poi uscirne mai più. Denunciata la sua scomparsa è stato in seguito appurato che fosse stato ucciso e che il mandante fosse il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Le autorità turche avevano sin dall'inizio delle indagini confutato ogni scusa e ogni alibi utilizzati dal governo saudita per coprirsi. Per le organizzazioni umanitarie era strettamente necessario che il processo si svolgesse ad Ankara, in quanto unica possibilità perché il procedimento si svolgesse in modo equo e trasparente.
Da giustizia a politica - Tutti gli svolgimenti sono avvenuti nell'ultima settimana, dopo che lo scorso giovedì 31 marzo non si sono presentati al processo in Turchia i 26 imputati, in ragione del fatto che sono tutti cittadini stranieri. Quindi il pubblico ministero ha chiesto alla corte di trasferire il caso alle autorità saudite. Oggi è stato autorizzato lo spostamento. Il motivo è da ricercarsi nella risoluzione delle tensioni tra i due Paesi.
L'Arabia Saudita ha formalmente riconosciuto la sua responsabilità nella morte di Khashoggi e nel dicembre 2019, in seguito a un procedimento penale svoltosi a porte chiuse, erano stati condannati in Arabia Saudita dieci persone e tre erano state assolte. Anche se cinque di queste sarebbero dovute andare in contro alla pena di morte, nel 2020 sono state graziate. Ma, a riconferma di quanto affermava fino a poco tempo fa anche il presidente Erdogan in merito al non funzionamento della giustizia in Arabia Saudita, non sono mai stati forniti dettagli su come il giornalista sia morto e dove si trovi il suo corpo.
Secondo diverse organizzazioni umanitarie, tra cui Human rights watch, mettere nuovamente in mani saudite il procedimento penale «porrebbe fine a qualsiasi possibilità di giustizia e rafforzerebbe l'apparente convinzione delle autorità saudite di poter farla franca con l'omicidio».