Il consigliere della sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan: raggiunto un «terreno di intesa» su cui proseguire.
TEL AVIV - I negoziati vanno avanti e i prossimi giorni potrebbero portare a un nuovo accordo sugli ostaggi e su una tregua nella guerra a Gaza. Ne sono convinti gli Stati Uniti che, dopo aver mediato i colloqui a Parigi con le delegazioni di Israele, Egitto e Qatar, hanno riferito che è stato raggiunto un «terreno di intesa» su cui proseguire.
«Si lavora e speriamo che nei prossimi giorni si possa arrivare al punto di un accordo finale», ha detto il consigliere della sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan. Non a caso il gabinetto di guerra israeliano ha deciso di inviare una propria delegazione a Doha per completare il lavoro di Parigi. E sebbene Hamas lo abbia già ridimensionato, l'ottimismo sembra tuttavia prevalere e potrebbe sfociare, pur nella dovuta cautela, in un accordo prima dell'inizio del Ramadan, il 10-11 marzo.
A confermare la trama diplomatica in atto è stato lo stesso premier Benyamin Netanyahu in un'intervista alla rete Usa Cbs. «Stiamo lavorando - ha detto - su un accordo per gli ostaggi. Voglio arrivare a un'intesa e apprezzo gli sforzi degli Usa. Non so se la raggiungeremo, ma se Hamas riducesse le sue richieste deliranti per tornare alla realtà, allora un accordo ci sarebbe», ha detto ribadendo le sue condizioni.
Il premier ha quindi avvertito che se si dovesse raggiungere un'intesa, l'operazione a Rafah - dove si assiepano centinaia di migliaia di sfollati - «verrà ritardata», ma con o senza accordo «la faremo in ogni caso». Ora sarà il capo di stato maggiore a presentarne il piano operativo, non senza aver prima stabilito le modalità dell'evacuazione dei civili dalla zona, considerata una priorità per gli Stati Uniti e su cui, ha garantito Netanyahu, non c'è «alcun attrito con gli Usa».
La prospettiva dell'operazione a Rafah e le condizioni poste dal premier hanno però fatto infuriare Hamas: «Le parole di Netanyahu - ha detto alla Reuters il portavoce della fazione islamica Sami Abu Zuhri - dimostrano che non è preoccupato dal raggiungere un accordo» sugli ostaggi, ma vuole «proseguire le trattative sotto i bombardamenti e il bagno di sangue» dei palestinesi. L'avvicinarsi del mese di Ramadan ha spinto Re Abdallah di Giordania a denunciare, in un incontro ad Amman con il presidente palestinese Abu Mazen, che la continuazione della guerra a Gaza durante quel mese potrà comportare «un'espansione del conflitto».
Nel complesso scenario della situazione in atto, si continua a discutere anche del futuro dell'Autorità nazionale palestinese e del suo ruolo dopo la guerra. Una fonte palestinese ha riferito a Sky News Arabia che il governo del premier dell'Anp Mohammed Shtayyeh potrebbe dimettersi a breve, entro la fine di questa settimana. Notizia subito smentita da Ramallah dove fonti della stessa Anp hanno rimandato questa possibilità a un non meglio precisato futuro, visto che questo dovrebbe avvenire nell'ambito di «colloqui comuni con esponenti di Paesi arabi».
Al 142esimo giorno di guerra, Israele intanto continua a colpire soprattutto a Khan Yunis, nel sud della Striscia, ma anche nel centro di Gaza. Il portavoce militare ha denunciato che proprio a Khan Yunis «terroristi hanno cercato di fuggire nascondendosi tra i civili» che stavano evacuando la zona. L'aviazione israeliana ha poi colpito due obiettivi a ridosso del cosiddetto «Corridoio Filadelfia», una striscia di terra al confine fra Gaza e l'Egitto.
Secondo il ministero della sanità di Hamas, il numero dei morti nella Striscia dall'inizio della guerra è salito a 29'692, i feriti a 69'879: cifre che tuttavia non possono essere verificate in maniera indipendente. Nel frattempo Israele ha annunciato che da domani provvederà a far entrare nel nord della Striscia aiuti umanitari che saranno distribuiti sul posto.