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Il «momento giusto» per metterci nome e cognome

CANTONEIl «momento giusto» per metterci nome e cognome

19.06.24 - 06:30
Christian Micaël Schwarz lo ha fatto con "Terminal Speed": è la prima volta in 25 anni di carriera
ANDREA COSENTINO
Christian Micaël Schwarz.
Christian Micaël Schwarz.
Il «momento giusto» per metterci nome e cognome
Christian Micaël Schwarz lo ha fatto con "Terminal Speed": è la prima volta in 25 anni di carriera

SAVOSA - "Terminal Speed" è il primo brano che viene dato alle stampe a nome Christian Micaël Schwarz. Mai, in una carriera arrivata al giro di boa dei 25 anni, il musicista ticinese aveva pubblicato con il suo nome anagrafico. Ora, però, è arrivato il momento giusto - con questa canzone prodotta dalla label Top Town Records.

Come sei arrivato a questa decisione?
«È il culmine di un processo di maturazione. Penso che, arrivando a una certa età e dopo un percorso come il mio, giunga il momento per uscire con il proprio nome e cognome. È stata una cosa naturale».

Come sono stati i riscontri in questo primo mese dalla pubblicazione?
«Il brano ha sicuramente stuzzicato le papille gustative degli amanti di un certo tipo di musica, ma il tempo passato dall'uscita è troppo breve per avere una visione d'insieme e la promozione da parte dell'etichetta è ancora in corso. Cominceremo a tirare i primi bilanci fra cinque o sei mesi».

Quali sono le principali analogie e quali le differenze con quella che è la produzione targata Freaky Farm, o prima ancora Zodiac Project, Sound Vision e così via?
«Questo singolo è un crogiolo di 25 anni di influenze musicali. Dalle basi che provengono dai vinili ereditati da mio padre e dagli zii, passando da un certo tipo di suono degli anni Ottanta. Poi è molto influenzato dall'indie e dallo shoegaze inglesi del decennio successivo, oltre che da un certo tipo di elettronica. Penso a quelle produzioni in cui i frontman di determinati gruppi venivano presi e fatti cantare sulle basi create per l'occasione. Ma c'è anche un pochettino di musica minimal e dei riferimenti un po' berlinesi...».

Penso di poter dire che "Terminal Speed" sia un lavoro che s'incanali nel solco della tua produzione precedente. Non ci sono stati drammatici cambi di rotta...
«Il giorno che vedrai un cambio di rotta totale è quando magari deciderò di fare un disco acustico. Ma quello è una cosa che è in un cassetto...».

Cioè? Parlamene, se vuoi.
«All'epoca ho composto tantissima musica per chitarra dodici corde e voce. Ho iniziato da lì, poi successivamente ho aggiunto vecchie drum machine, vecchi synth... Però, fondamentalmente, il mio strumento è la chitarra».

Quindi hai da parte il tuo "Nebraska" (album acustico di Bruce Springsteen, ndr).
«Più un "Harvest" (disco di Neil Young, ndr), se vogliamo prendere un esempio. Oppure "Mutations" di Beck. Resterà nel cassetto per un'era successiva, non è ancora arrivato il momento».

In un'intervista di qualche anno fa ci avevi detto: «Far coesistere stili e correnti diverse è ciò che attualmente mi appassiona e mi permea maggiormente, trovare il filo d’Arianna che lega i mondi mi dà grande spinta energetica». Sono parole che ti senti di sottoscrivere anche adesso?
«Sì, assolutamente. Ritengo che all'interno di tutto ciò che è musica di qualità ci siano sono dei fili comuni che si possono annodare per cercare di creare un qualcosa di valido, ma non puro. Io credo molto nella contaminazione, non mi piace essere vincolato a uno stile o a un'etichetta. Penso che si possa fare un bel mix e far funzionare le cose, portando realmente la musica un passo più in là. Anche perché adesso stiamo vivendo veramente un'era di una piattezza e di una formattazione imbarazzante».

Come vedi il mondo della musica, dal tuo buen retiro malcantonese?
«Musica buona e di qualità c'è anche oggi, però non è lei che viene da te, ma sei tu che devi andare a cercatela. Mentre negli anni '90, ad esempio, c'erano un sacco di etichette indipendenti che arrivavano prepotentemente sul mercato e andavano a influenzare le abitudini delle persone. Questo oramai è sparito con l'avvento del web e il mainstream che la fa da padrone. Ma è un mainstream di basso lignaggio: ci sono pochissimi brani che rimangono nel tempo, il resto è una sorta di usa e getta perennemente in movimento».

È il dramma di un'epoca regolata più dall'algoritmo che dall'ispirazione artistica.
«Io penso che, se i Pink Floyd uscissero nel mercato attuale, non entrerebbero neanche nella Top 1000. Si è persa l'interazione tra i vari strumenti che, benché supportati già all'epoca da un'elettronica rudimentale, dava un senso compiuto e cerimonioso a un qualcosa di fatto insieme. Doveva esserci una sincronia, un'energia. Oggi un ragazzino nerd dotato nell'informatica e con due pianole riesce a mettere insieme un pezzo da milioni di visualizzazioni. Ed è quello che interessa oggi alle major, i numeri che sei in grado di fare. Non frega più niente se tu hai talento o non ce l'hai, se sei bravo oppure non lo sei: se non gli dai quel minimo che ti richiedono, evidentemente non gli interessi».

Chi crea per altri scopi si trova messo un po' in un angolo.
«Tendiamo a essere dei baluardi di resistenza. Nella musica come in altri ambiti».

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