Davina Fitas, responsabile OCST donna-lavoro, rappresentante della rete “Nate il 14 giugno”
Il valore economico del lavoro non remunerato in Svizzera, cioè “il lavoro produttivo non pagato, ma che per principio potrebbe anche essere svolto a pagamento da una terza persona” è abbastanza impressionante. Si tratta, per intenderci, di tutte quelle attività che vengono svolte nelle famiglie come ad esempio la pulizia della casa e la cura delle persone, o come volontariato in situazioni più o meno strutturate.
Si parla 9,2 miliardi di ore impiegate ogni anno in queste attività, contro i 7,9 miliardi impiegati per le attività remunerate; un valore di più di 408 miliardi di franchi all’anno. Questa è tuttavia una stima puramente teorica che viene utilizzata a fini statistici, ma senza nessuna concreta ripercussione sulla realtà. E questo di per sé non sarebbe un problema: nessun genitore si farebbe pagare per preparare la cena ai propri figli, nessun figlio si farebbe pagare per accudire un genitore anziano.
Non sarebbe un problema se il lavoro non retribuito fosse ripartito equamente tra i sessi. Invece risulta che le donne realizzano il 61,3% del lavoro non retribuito, mentre gli uomini il 61.6% di quello retribuito. Il maggiore impegno delle donne in un contesto non remunerato, che grazie a questa statistica possiamo quantificare in termini di tempo e di capacità di produrre ricchezza, ostacola la partecipazione con lo stesso slancio al mercato del lavoro remunerato. Non si tratta di un impegno di poco conto: per una donna in proporzione ogni 8 ore di lavoro remunerato, ce ne sono quasi 15 di lavoro non remunerato.
Questa condizione ha una serie di conseguenze che conducono alla disparità: minore investimento sulla professione, salari più bassi, minori opportunità di carriera e, in definitiva, maggiore rischio di povertà. È per questo che dedicheremo l’8 marzo alla sensibilizzazione su questo importante tema.
Non è tuttavia da tralasciare un'altra importante conseguenza che ha risvolti piuttosto psicologici. Il valore del lavoro non remunerato viene ancora troppo spesso sottostimato sia da chi ne beneficia che da chi lo svolge, proprio perché non se ne vede una contropartita. Affatto considerate per il grande impegno offerto nella cura gratuita degli altri, ci si trova mortificate anche nello slancio professionale.
Quello di una ripartizione dei compiti più equa in seno alla famiglia non è quindi un tema di poco conto, ma di prioritaria importanza nell’ottica di affrontare in modo concreto il problema della disparità salariale tra uomo e donna.
Rincuora assistere al cambiamento di mentalità che si opera nelle nuove generazioni. I giovani uomini sono molto più disposti dei loro padri ad assumersi maggiori responsabilità nella famiglia e per la cura dei figli; lo dimostra l’entusiasmo che ha accolto l’iniziativa per un congedo paternità ragionevole, che invito caldamente a sostenere in votazione nel mese di settembre. Desiderano partecipare maggiormente e con serietà alle incombenze della vita quotidiana e sono disposti per questo a rinunciare ad una parte dell’impegno lavorativo.
È in una maggiore collaborazione e nel riconoscimento reciproco dell’importante contributo sociale del lavoro non remunerato che vediamo una delle piste di intervento per affrontare lo squilibrio sociale che sfocia nella disparità salariale.