Michela Trisconi, Riviera
È una domanda che mi sono posta in questi giorni, precedenti al ballottaggio del prossimo 16 maggio. In Riviera, dove risiedo, il confronto è marcato: da un lato il pensionato, padre, con oltre 40 anni di politica alle spalle; dall’altra la giovane donna (43 anni sono pure sempre “nel mezzo del cammin…” di dantesca memoria), attiva professionalmente, con un portafoglio variegato di interessi, madre e qualche anno di politica alle spalle. Ebbene uno dei commenti che mi è capitato di sentire è stato: “È troppo impegnata professionalmente per poter ambire alla poltrona di sindaco”. Vi invito a riflettere. Siamo da sempre stati abituati alla presenza di sindaci onnipresenti e onnipotenti, sia sulla scena associativa e professionale che politica, dove cumulano a volte poltrone a più livelli – persino quella comunale con la federale – senza che ciò abbia sollevato il benché minimo dubbio sulla loro capacità di gestire i diversi piani. Per una donna, se oltretutto ha dei figli, invece, il problema si pone, eccome!
La prima spiegazione che mi è venuta in mente è che siamo di fronte all’atavica convinzione secondo cui le donne siano per bontà divina da preferire se collocate nella sfera del privato, mentre gli uomini sono naturalmente più adeguati alla gestione della cosa pubblica. A 50 anni dall’introduzione del suffragio femminile, questa credenza mi intristisce per le conseguenze sociali che implica.
Poi è discriminatoria! È del tutto evidente che negli ultimi decenni la divisione tradizionale dei ruoli è stata messa in discussione dall’autonomia femminile, dalla scelta fatta da gran parte delle donne per una “doppia presenza” nella società come nella vita privata; variabile che ha ricucito la separazione tra due mondi e indotto nuovi equilibri tra donne e uomini. Anche il terreno politico dovrebbe a un certo momento prenderne atto, promuovendo e non scartando una donna dalla carica di sindaco.
Inoltre, una democrazia in cui una parte significativa della popolazione risulta esclusa dal processo politico-istituzionale a vantaggio dell’altra, è incompiuta! In Riviera, come altrove, l’altra metà del cielo non ha mai avuto l’opportunità di avere una propria rappresentante al vertice dell’esecutivo. Ci si lamenta che è difficile trovare candidate disponibili. Perché allora quando le abbiamo davanti, formate e competenti, invochiamo giustificazioni che non oseremmo mai pronunciare se fosse un uomo?
Infine, per una ragione simbolica. È necessario dare conto nelle istituzioni di come sia cambiata la vita delle donne, che non si vedono più come subordinate rispetto agli uomini, pur dovendo misurarsi con vite precarie, con le difficoltà della conciliabilità vita-lavoro, con il persistere dello “stato roccioso” di alcuni stereotipi di genere e delle aspettative sociali. Ma qualità e quantità non sono separabili. Senza una presenza reale delle donne, che sia numericamente forte, è impossibile avviare una trasformazione delle istituzioni come nella società.
Pur avendo avuto modo di apprezzare l’impegno e la disponibilità di Alberto Pellanda, per conto mio Ulda Decristophoris incarna questo cambiamento sociale, e sosterrò la sua candidatura.