Zeno Casella, membro della Direzione del Partito Comunista
A volte ritornano, anche quando non se ne sentiva la mancanza. Così anche l’austerità, che dopo qualche anno di relativa calma torna a fare capolino nel dibattito politico ticinese. Ecco dunque che, su proposta del neoliberista d’assalto Sergio Morisoli, già esecutore delle peggiori manovre di risparmio dell’era Masoni, il parlamento cantonale ha recentemente deciso di raggiungere il pareggio di bilancio agendo “prioritariamente” sulla spesa pubblica. Cosa significa questo per i cittadini? Significa, appunto, un ritorno all’austerità, ai tagli lacrime e sangue, alle manovre di rientro finanziario sulle spalle dei più deboli.
Questa decisione sconcerta per due ragioni. Prima di tutto perché non tiene minimamente conto dei risultati delle politiche di austerità condotte negli ultimi decenni. Fin dall’inizio degli anni 2000, le autorità cantonali hanno ridotto a più riprese gli aiuti sociali, hanno privatizzato svariati settori della pubblica amministrazione, hanno ridotto i salari degli impiegati pubblici. Ma con che risultato? Non si può certo dire che si sia riusciti a razionalizzare la spesa pubblica, anzi: il peggioramento della qualità dei servizi pubblici e lo smantellamento dello stato sociale hanno amplificato le necessità delle persone più bisognose, costrette a far ricorso in misura crescente all’assistenza sociale, mentre l’aumento dello stress e dei ritmi di lavoro hanno provocato una crescita dei burn-out e dunque delle spese mediche. Tutto ciò senza tener conto dei costi indiretti sul piano del malessere psico-sociale, tra perdita di motivazione e di senso della propria esistenza, crescita di depressione e malattie psichiche, ma anche con una progressiva disintegrazione del tessuto sociale.
In secondo luogo, la decisione del Gran Consiglio sconcerta perché riprende in modo del tutto acritico degli schemi di ragionamento del passato. La pandemia ha dimostrato come tanti dogmi ideologici possano essere rimessi in discussione in caso di necessità: l’intervento dello Stato in economia, il deficit di bilancio, l’indebitamento pubblico hanno permesso in questi mesi di evitare la catastrofe, eppure ora si torna a indicarli come il male assoluto, da combattere con qualsiasi mezzo. Anche qui c’è però da meravigliarsi: ammesso (e non concesso) che si debba per forza far tornare il bilancio dello Stato nelle cifre nere, perché devono essere ancora le classi popolari ad accollarsi il peso di questo sforzo? Invece dei lavoratori, degli studenti e dei pensionati, che più di tutti hanno vissuto grandi difficoltà durante le fasi più acute della pandemia, perché non far passare alla cassa le grandi aziende e i grandi patrimoni, che hanno visto crescere la propria fortuna in questi ultimi mesi?
Non tagliare, ma potenziare gli aiuti sociali e i servizi pubblici, senza rinunciare a priori a un prelievo fiscale sui redditi più alti: questa sarebbe una risposta innovativa e socialmente responsabile alle difficoltà provocate dalla pandemia. Per fare questo occorre però bloccare il decreto approvato dal parlamento: firmiamo e facciamo dunque firmare il referendum lanciato dal sindacato VPOD e sostenuto dal Partito Comunista. Manca poco tempo allo scadere del termine per la consegna delle firme: occorre affrettarsi!